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domenica 27 ottobre 2024

"Il tredicesimo nume", Giorgia D'Aversa


 Questo libro io non lo volevo leggere.

"Mi bastano le recensioni che ho letto in giro da persone di cui mi fido, non ho bisogno di leggerlo”, questo è quello che mi dicevo

Poi è arrivato lui: lo sconto sull'edizione digitale. Io sono una persona molto debole e senza freni inibitori quando si parla di libri, per cui ho voluto comprarlo per vedere se valeva la pena leggerlo.

Per cui vi do il benvenuto in questa nuova recensione, in questi vaneggiamenti di una povera pazza che in questo caso parte fortemente prevenuta.

Cerco di "comportarmi bene", di dare a questo libro il beneficio del dubbio, ma la verità è che le cose cominciano a non funzionare già dalle prime pagine, quando si tenta di spiegare la magia che fluisce attraverso le sacerdotesse. Si parla di "filamenti che si arrotolano all'indietro sulla strada percorsa", di "fili che si recidono" eccetera. Alcune battute di dialoghi vengono dette totalmente a caso e una ship che viene messa all'inizio, letteralmente a pagina 9, senza nemmeno costruirti un minimo di tensione, anzi, farcita di roba stucchevole stile YA del tipo "Clizia abbassò lo sguardo. No, non ci sarebbe potuto mai essere nulla di più. Era la sua migliore amica (riferito a una ragazza che era andata a riprenderla dopo che lei era sparita per ore per andare insieme ai riti serali, NdR), e lei doveva smetterla di pensare a certe cose in sua presenza."

Che poi per carità, la storia sarebbe anche scorrevole, in teoria, quindi in pratica diventa un'occasione un po' sprecata di creare una storia simil-mitologica con una ship saffica (purtroppo di libri con questa tematica ne ho letti pochi e mi sa che ne esistono pochi a prescindere, quindi sarebbe stata un'ottima occasione per aggiungere un titolo valido alla lista) e mi dispiace che non venga sfruttata a sufficienza. Perché il problema è che secondo me questo non è un libro brutto. Ma non è nemmeno un libro bello. È un libro che sa solo quello che non è, deve capire quello che è. I personaggi sono tutti abbozzati sullo sfondo, si è puntato tutto sull'ambientazione (che per carità, è bellissima e l'ho amata, forse è la cosa che ho preferito di più nel libro) e non abbastanza su tutto il resto. Come ho già constatato per altri libri pubblicati da questa CE, avrei preferito che il romanzo fosse più lungo, che ci fosse stato più spazio per approfondire trama e personaggi, ma c’è anche un altro appunto ulteriore che devo fare a “Il tredicesimo Nume”. La trama mi era stata presentata come: una dea smette di benedire i raccolti e le sue sacerdotesse devono capire perché e rimediare. Non c’è davvero nient’altro da dire, è tutto lì; la carne al fuoco mi è sembrata poca, mi ha lasciata un po’ a bocca asciutta. Di base non è un libro brutto, ci sono degli spunti interessanti e a parte qualche scivolone bello pesante (mi hanno lasciata perplessa delle frasi del tipo "Mi chiedesti se fosse stata la Nume a farti cadere, perché eri stata cattiva ad aver rubato del cibo dalle cucine. Ed eccoci qui questa sera, chi l'avrebbe mai detto?", di cui non ho capito il senso, il nesso logico tra un periodo e l’altro, oltre all'utilizzo di quel "la nume" che non ha molto senso, innanzitutto perché ho qualche dubbio che si possa dire, in secondo luogo perché nel titolo la dea viene chiamata il nume, quindi perché rivolgersi a lei al femminile in tutto il resto del libro?) lo stile è tutto sommato scorrevole. Scorrevole, sì, ma sembra comunque il risultato di un copia-incolla degli esercizi di un manuale di scrittura creativa, e il fatto che Clizia continui a urlare alla blasfemia ogni volta che c'è il focus sul suo personaggio, qualsiasi cosa succeda, dopo un po' stufa. In questo libro ci sono pochi guizzi, in generale, la trama procede piatta e mi sono sentita poco invogliata a continuare la lettura.

Le personalità delle due sacerdotesse protagoniste sono tranquillamente intercambiabili, tant'è che a volte mi dimenticavo di quale delle due stessi leggendo il pov. E mi dispiace, perché il potenziale c'era, ma non è stato sfruttato, risultando in un libro piuttosto insipido con un sacco di idee inesplorate. L'ho mollato che non ero nemmeno arrivata a metà per tutte le criticità sopracitate. Il nodo che dà il via alla vicenda rimane relegato allo sfondo, il lettore quasi si dimenticherebbe qual è il punto della storia se non fosse che le protagoniste continuano a ripetere le stesse frasi fatte ("questa è blasfemia, ecco perché il nume ha smesso di benedire i raccolti" oppure "ci stiamo comportando bene, come sempre, perché il nume ha smesso di benedire i nostri raccolti?" e così via in una tiritera infinita) per mantenere alta la concentrazione.

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