Autore: Oscar Wilde
Anno di pubblicazione: 1890
Questo libro l'ho letto tre volte. La prima avevo 12 anni, nessun senso critico e ho letto questo romanzo solo per farmi un'idea, ed è comunque stato un colpo di fulmine. Lo stile di Wilde ebbe sulla mia piccola mente malleabile il potere di isolarmi dal mondo esterno, facendomi dimenticare di quello che mi succedeva intorno per lasciarmi in balia di Dorian e del suo arco di corruzione nel corso della storia. La seconda volta avevo qualche anno in più, mi pare ne avessi 17, ma ancora una volta ero troppo immatura per capire appieno tutte le sfumature di questo libro. Oggi, a ventitré anni suonati, non credo di aver raggiunto nemmeno lontanamente il pieno della maturità critica, non credo che un singolo individuo possa mai raggiungerla del tutto (io personalmente devo sempre confrontarmi con gli altri per essere sicura che abbiano notato le stesse cose che ho notato io e viceversa), però potrei raccontarvi del lavoro di Wilde sull'arte, sull'artista, e sulla piccolezza dell'uomo davanti alla vita e all'arte, in cui l'arte è l'unica cosa che ci sopravvive nel momento in cui moriamo. Potrei parlare di Lord Henry, il mio personaggio preferito nel suo cinismo, o di Basil, il personaggio con cui mi sono sempre identificata all'interno del romanzo per come si esaltava ogni volta che parlava di Dorian, o di Dorian stesso e di quanto volentieri lo avrei preso a schiaffi per la sua eccessiva testardaggine e ingenuità. Potrei persino fare fare quel banalissimo paragone tra Dorian e Narciso. Ma non ne parlerò, sarebbe troppo banale parlare di queste cose.
Voglio invece fare un paragone forse un po' azzardato, una cosa che la “me” di dieci anni fa non avrebbe mai potuto fare, pur nella sua semplicità, perché banalmente all'epoca non seguivo anime. Perché il paragone che ha continuato a martellarmi in testa è tra Light Yagami e Dorian Gray. Alcuni di voi potranno sapere quanto ami alla follia Light, la sua mente fredda e le sue strategie, la sua bellezza e la famiglia perfetta che non gli dà alibi per i suoi crimini, perché appunto la sua vita è perfetta. Il suo piano di sterminio dei criminali per quanto esagerato era geniale e sulla carta era perfetto. Poi, come tutte le cose che da “idea” passano alla “pratica”, il piano di Light era naufragato in una serie di errori di calcolo, variabili che non potevano essere prese in considerazione nemmeno nelle ipotesi più machiavelliche, e il finale è stato secondo me l'unico possibile, per quanto mi abbia devastata. Ma cosa c'entra Light con Dorian? Per quanto mi riguarda, Dorian è la versione peciona di Light, non perché scritto male ma proprio perché doveva essere così. Il perno di Dorian era la bellezza, come Light spesso la sfrutta per ottenere dei lacché che facciano il lavoro sporco al suo posto. Se Light si fa corrompere dal potere del death note per mettere in atto il suo mondo utopico senza criminali, Dorian si lascia tentare da Lord Henry per vivere una vita all'insegna della dissolutezza, del piacere (non solo fisico, chiariamoci bene, non lasciatevi traviare da quella monnezza di film uscito nel 2009), e della gioventù, quindi un piacere personale. Il piano per il bene dell’umanità di Light diventa qui un piano per il bene dell'individuo, che deve vivere la sua vita egoisticamente perché è conscio che gli altri faranno lo stesso, in una visione forse cinica ma di sicuro realistica del mondo moderno, che può insegnare tanto anche a noi oggi. E la cosa peggiore è che non c'è modo di tornare indietro: Light non mostra mai segni di pentimento o di comprendere quale sia stato il suo errore, mentre Dorian prova a correggere i suoi sbagli, ottenendo come risultato solo quello di peggiorare la situazione.
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