Quando mi dicono che il fantasy è per bambini mi arrabbio. Mi arrabbio perché io lo so, lo so, nel mio subconscio seppellito tra i meandri del mio super-io, che nel mondo esistono tante sottocategorie, tante perle che meritano solo di essere scoperte. E no, non sto pensando al plagio-fanfiction di GOT... cioè intendevo Nevernight, o a quel sequestro di persona della guerra dei papaveri (primo romanzo meraviglioso, ci tengo a ricordarvi, ma gli altri due assolutamente non all'altezza delle aspettative, in generale come saga è stata pompata molto per quanto mi riguarda). E non sto nemmeno pensando allo stesso GOT, che per quanto sia una saga senza dubbio riuscita per me è leggermente "sopravvalutata" (termine che di solito non mi piace perché presuppone un giudizio assoluto, è come dire "quella saga non si merita la fama che ha avuto" e in questo caso specifico non credo sia questo il suo problema, solo è un po' troppo pompata rispetto a quello che in realtà offre).
Io mi riferisco a quegli autori più o meno famosi (in generale meno) che per qualche motivo non scritto nessuno nomina mai. Uno di questi autori è di sicuro Brandon Sanderson. Un altro è Jonathan Howard.
In questo secondo libro troviamo due degli sviluppi che io cerco in un fantasy, soprattutto se parte di una saga: il primo è lo sviluppo del worldbuilding, l'altro è una svolta politica che viene approfondita a dovere nel corso della storia. E qui ci sono entrambe. La magia non è l'elemento chiave della storia per cui, a parte le doti di necromante di Cabal, non si parla mai di magia nel senso in cui lo intendiamo di solito (infatti questo è un fantasy paranormale più che un fantasy nel senso classico del termine), per cui non mi concentrerò molto su quell'aspetto anche perché, come dicevo, non è importante.
Se nel primo romanzo ci trovavamo all'incirca in Inghilterra (nel libro viene proprio chiamata "Inghilterra" ma non ci vengono mai date nozioni precise sui nomi delle città in cui il circo itinerante viaggiava), qui c'è un ulteriore balzello in avanti. L'ambientazione è Mirkarvia, un ex impero ormai staterello in rovina più o meno corrispondente tra l'Austria (io almeno l'ho interpretato così). L'imperatore è morto per una ferita e non ha potuto dare il suo discorso in cui dichiarava la gloria di Mirkarvia. Per questo viene richiesto l'intervento di Cabal, ma le cose non vanno esattamente come previsto...
Mi è piaciuto tantissimo com'è stata ampliata la vicenda e la sua situazione politica, il "pretesto" che dà il via alla vicenda (già più originale rispetto a "Johannes Cabal the necromancer") e la costruzione dei personaggi stupenda che è stata data e che avevo già avuto modo di apprezzare nel primo libro. Johannes, nonostante nella sua immensa testardaggine si ostini a pensare il contrario, ha fatto tesoro a modo suo di ciò che gli è successo nel primo libro (e il fatto che non ci fossero spiegoni è stato per me un motivo di immensa gioia).
Ora che la concorrenza è stata sbaragliata, dato com'è finito il primo libro, mi sono potuta concentrare su Johannes, sulla sua crescita personale e sul rapporto instaurato con Leonie Barrow, già apparsa verso la fine del primo libro e qui presenza più fondamentale. Ho amato (come già l'avevo amata nel primo) l'ironia tagliente di Cabal e la sua disperata rassegnazione nell'essere sempre coinvolto in faccende più grandi di lui e di cui lui di sicuro farebbe a meno. Lo sviluppo del rapporto con Leonie Barrow poi, mi è piaciuto particolarmente: lei sa di avere un potere su di lui e non smette mai di usare questo vantaggio a discapito di Cabal, sa esattamente che dicendo certe cose lo pungerà sul vivo e gli creerà disagio e sfruttare questa debolezza di Johannes sembra farle particolarmente piacere.
L'ironia pungente dell'autore, che sembra prendersi gioco di Cabal con le sue battute che descrivono il disagio del protagonista, è sinceramente una delle mie cose preferite di questo libro, e una delle cose per cui sono più grata di averlo cominciato.
Unico appunto che mi sento di fare riguarda le descrizioni, soprattutto nelle scene concitate del finale (cosa che avevo già notato anche nel primo libro), che sono un po' frettolose e risultano in un caos difficilmente comprensibile (almeno per me). Non so se questa cosa è voluta o meno ma per quanto mi riguarda ha appesantito e affaticato un po' la lettura.
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