Bentrovati, quanto tempo, siamo live!
Ultimamente le recensioni stanno uscendo a singhiozzo, lo so, ma è vero anche che sto leggendo poco e per molte cose che sto leggendo non trovo abbastanza cose da dire per scriverci una delle mie recensioni pungenti. Ma qui ce n'è di roba. Mi salvi il Cielo se non c'è!
Come al solito niente trama, quella ve la potete andare a cercare da voi nell'arco di un battito di ciglia. Si parte a bomba con la roba bella. Con la ciccia.
Prima di leggere King, pensavo che il suo horror fosse un tipo di horror molto "visivo", dove con visivo intendo quel tipo di horror con colpi di scena, sangue e scene che non ti fanno dormire la notte.
Invece ho trovato tutt'altro. Questo è il secondo romanzo di King, e come in It, l'elemento di "orrore" viene usato come espediente per analizzare i sentimenti umani, la psicologia dei personaggi e la loro reazione davanti a emozioni forti. Come capitano a tutti, nella vita. Complice anche uno stile molto scorrevole tipico in generale della letteratura americana, le seicento pagine del libro scorrono molto velocemente (non che ci sia bisogno della mia recensione per farvelo notare, se il Re è famoso e ha venduto complessivamente oltre 500 milioni di copie ci sarà un motivo). La vita descritta è sempre quella di un gruppo di emarginati, di gente semplice, che vive in campagna isolata dal mondo e per certi versi mi ha ricordato i protagonisti di It che vivono a Derry.
Di personaggi qui ce ne sono un po', ma comunque stare dietro alle vicende è assolutamente fattibile, sono raccontate tutte in maniera tale che non ci si perde nemmeno le virgole.
Nota stonata rimane il finale. Quelli di King, così come avevo già notato anche per quelli di Dan Brown, non mi piacciono per niente, la vicenda si risolve in maniera eccessivamente semplice e mi ha fatto storcere un po' il naso. L'ho trovato un po' troppo affrettato, come se mancassero de pezzi, un po' troppo pretestuoso.
Comunque, di recente si è aperto il dibattito sui retelling (io l'ho aperto, quindi io mi ritengo in diritto di rigirare il coltello nella piaga). Questo è quello che l’autore stesso dice nell’ introduzione all’edizione che ho letto io: "Una delle idee che avevo in quei giorni felici era che fosse perfettamente possibile fondere la leggenda del principe dei vampiri raccontata da Bram Stoker in Dracula con la fiction naturalistica di Frank Norris e i fumetti dell'orrore dell'Entertaining Comics che avevo amato da bambino... e tirarne fuori un grande romanzo americano.”
Poi prosegue dicendo: "Pensavo davero di poter mescolare Dracula ai Racconti della Cripta e trarne Moby Dick? Sì, lo credevo. Avevo persino programmato una sezione iniziale intitolata «Extracta», dove avrei raccolto note, ritagli di pubblicazioni ed epigrammi sui vampiri, come fa Melville sulle balene nella prima parte del suo libro.”
Inoltre dice, verso la fine: "Mi piaceva comunque l'idea che il mio romanzo sui vampiri facesse da contraltare a quello di Stoker, che non può non essere classificato come il romanzo dell'orrore più ottimistico della storia della letteratura. Il conte Dracula, temuto e venerato nel suo oscuro, piccolo feudo europeo di Transilvania, commette l'errore fatale di portare il suo show... in tournée. A Londra s'imbatte in uomini di scienza e ragione, santo cielo: Abraham Van Helsing che s'intende di trasfusioni di sangue; John Seward, che tiene il suo diario scrivendolo su cilindri fonografici di cera; Mina Harker, che compila il suo in stenografia e diventerà poi la segretaria degli impavidi cacciatori di vampiri.”
Per concludere, e in questo caso parafraso, che dopo aver dismesso per un po' l'dea di scrivere un libro del genere causa pubblicazione di Carrie. "Quando nel 1972 ho cominciato a scrivere la mia versione di questa storia - una versione la cui forza vitale era attinta più dai frizzanti e spassosi miti ebraico-ame-ricani di William Gaines e Al Feldstein che dal folclore romeno - avevo davanti agli occhi un mondo diverso, in cui tutti i congegni che Stoker deve aver ammirato con tanta speranza e meraviglia avevano cominciato ad apparire sinistri e concretamente pericolosi. Il mio era il mondo che cominciava a soffocare sotto i propri rifiuti, che si è votato anima e corpo a risorse energetiche non rinnovabili e deve vedersela non solo con le armi nucleari, ma con la proliferazione nucleare (all'epoca, grazie al cielo, il terrorismo internazionale era ancora dietro l'orizzonte). Vedevo me stesso e la mia società all'altra estremità dell'arcobaleno tecnologico e desideravo scrivere un libro che rispecchiasse questa tetra visione. Un libro, in poche parole, in cui alla fine il vampiro si mangiasse gli impavidi cacciatori all'ora di pranzo."
So che probabilmente a quelli che leggeranno questo articolo, tutte queste citazioni sono ridondanti, inutili. Ma io lo faccio nella remota ipotesi in cui qualcuna delle persone che continuano ad attaccare i retelling e il fatto che io non capisco di cosa sto parlando leggano questa recensione e capiscano che forse qualcosina ne capisco in fondo. Che la comprensione del testo è un valore che ho acquisito tempo fa e che la mia tesi di laurea su Dracula mi dice che forse il titolo per parlare di certe cose ce l'ho eccome.
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