Mi addentro in questo libro come una landa oscura. "La memoria di Babel" è un romanzo molto divisivo, a molti è piaciuto, alcuni invece lo trovano molto confuso. Qual è il mio verdetto? A me... è piaciuto.
O meglio, il pezzo in cui sono arrivata mi sta piacendo molto. Come al solito sto scrivendo la recensione mentre sto leggendo il libro per ricordarmi le cose che devo dire, quindi entro la fine dell'articolo avrò cambiato idea almeno dieci volte, però c'è da dire che quello che sto "vedendo" mi piace molto. Finalmente, dopo due libri che me ne stavo lamentando, spiegano qualcosa riguardo il worldbuilding, ed è questa la cosa che mi sta piacendo di più. Se non mi fa impazzire che siano passati due anni e mezzo tra la fine del secondo libro e l'inizio del terzo (davvero questa è stata due anni e mezzo senza fare niente col marito scomparso, la figlioccia che sta crescendo senza di lei, Archibald che è praticamente catatonico per essere stato separato dal suo potere e non ha mai cercato di scappare, di fare qualsiasi cosa? Boh) il resto mi sembra tutto sensato. Anzi, dirò forse delle parole forti, ma trovo il secondo e il terzo libro strutturati molto meglio del primo. In "fidanzati dell'inverno", forse per esigenze di trama, la storia resta molto superficiale, non si entra nel dettaglio di niente, il worldbuilding non viene spiegato e si punta tutto sulla chimica crescente tra Ofelia e Thorn. Ciò non vuol dire che il primo libro non mi sia piaciuto, ci ho speso parole entusiastiche, però continuando la lettura di questa saga mi rendo conto di quanto quel volume introduttivo fosse molto blando.
L'ambientazione, Babel, mi ricorda a grandi linee Ba Sing Se di "Avatar la leggenda di Aang", città cosmopolita e con più segreti che abitanti. Sotto una patina luccicante di apparente libertà si nasconde invece l’oppressione della tirannia, in cui persino i termini “guerra” e sinonimi sono proibiti e puniti dalla società di accademici con pene severe quali l’isolamento dalla comunità.
Ho apprezzato particolarmente l’occhio sul Polo che ci viene fornito da Vittoria, una bambina che, nonostante abbia due anni e mezzo non parla e non cammina. È poco più che un vegetale, ma è curiosa a modo suo, fagocita ogni informazione che riesce a comprendere sul mondo che la circonda, ha paura di suo padre, è vigile, costantemente sul chi vive perché percepisce la paura di sua madre, si affeziona a Roseline e ad Archibald e comprende la loro importanza nella famiglia. E poi ha un potere curioso, il motivo per cui agli altri sembra quasi svampita. Riesce a proiettarsi fuori dal suo stesso corpo mentre dorme, il suo spirito che viaggia nel mondo esterno senza essere visto. In questo modo riesce a osservare il mondo che la circonda e a sfamare la curiosità che solo i bambini piccoli possiedono, ma viene anche a scoprire i segreti più inquietanti della corte (quanto è spaventoso il momento in cui Dio la pizzica?)
Finalmente poi la relazione tra Ofelia e Thorn fa un ulteriore passo in avanti. Anche Ofelia ammette di provare dei sentimenti per suo marito, anche se la soddisfazione è soltanto a metà perché comunque ci sono dei problemi molto più gravi a cui pensare. Da questo punto di vista sto trovando la saga in generale molto bilanciata, ogni libro aggiunge un tassello alla storia e per ogni problema che si risolve un altro più grosso spunta e quella che era nata come una storia di riscatto di un uomo che voleva entrare in società ed essere finalmente accettato dalla sua famiglia grazie a un matrimonio di convenienza e al potere che ne sarebbe derivato diventa invece un trip allucinante sul mondo, sui danni fatti dagli esseri umani sulla Terra eccetera.
Però quando nel finale iniziano a sciogliersi un po’ di più (un po’ tanto di più) io mi sono sciolta con loro. Avevo bisogno come l’aria di una coppia che venisse scritta in questo modo, in cui lo slow burn fosse davvero slow e in cui i due protagonisti avessero chimica anche oltre le dinamiche di coppia più basiche. Ofelia è una persona molto ingenua ed esuberante, che fa affidamento tutto sommato con facilità su tutti meno che su se stessa (e il fatto che abbia deciso di visitare Babel per cercare Thorn da sola è di per sé un bel percorso di crescita) perché ha subito bullismo psicologico abbastanza pesante da parte di chiunque, soprattutto della sua famiglia per anni, mentre Thorn è uno che ha dovuto fare affidamento solo su se stesso e sulla sua memoria prodigiosa perché sapeva benissimo che gli altri non l’avrebbero mai aiutato. Insieme hanno iniziato a spianare gli spigoli dei rispettivi caratteri: Ofelia sta imparando a fare affidamento su di sé, e la sua intraprendenza è stata la cosa che più ha colpito Thorn, mentre Thorn ha imparato a chiedere aiuto, ad apprezzare la compagnia di Ofelia e a non tenersi per sé tutto quanto. Ciò vuol dire che da domani saranno innamoratissimi, pucci pucci, degni della prima pagina dei giornaletti scandalistici? No, ed è proprio questo il bello. Cresceranno e lo faranno insieme, nessuno dei due è particolarmente abile coi sentimenti e, per citare Ofelia, Thorn “era un individuo spigoloso sia di corpo che di carattere, senza mai una frase amorevole o una battuta scherzosa, uno che preferiva la compagnia dei numeri a quella delle persone. Doveva esserci un buon motivo per guardarlo in faccia. Ofelia ne aveva due.” E questa mi pare la sintesi perfetta della loro relazione: bisogna imparare ad accettarsi anche coi propri difetti e le proprie imperfezioni, perché l’amore è soprattutto questo.
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