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martedì 26 novembre 2024

"Non è una storia di zombie" non è il libro che sembra

 

Prima che lo leggessi, questo libro ha circolato per un po'. E le critiche entusiaste sono piovute dal cielo. Io, da brava persona che supporta gli emergenti e ascolta i consigli degli amici online, ho approfittato di una promozione per comprarlo, e la sorpresa è stata più che piacevole.

La presentazione che ne fa l'autrice su Goodreads è "in pratica c'è uno zombie che diventa influencer ma anziché rubare i soldi dei pandori rischia di mangiarsi la gente", e credo che questo sia il riassunto più efficace che possa fare della trama, perché fa capire alla perfezione qual è il tenore generale della storia. Ma la realtà nasconde una profondità molto maggiore, che per me è difficile da raccontare per rovinare ai potenziali lettori la sorpresa della lettura. Se non volete che vi dica cosa c'è in più, allora, chiudete qui la recensione, aprite il vostro account Amazon e compratevi questo libro meraviglioso: sarà un viaggio di cui non vi pentirete.

Per tutti gli altri, i temerari che non hanno paura degli spoiler (per quanto lievi) e per chi il libro l'ha già letto e vuole sapere la mia opinione, cominciamo la recensione vera e propria.

"Non è una storia di zombie" maschera da finzione tutto ciò che rappresenta la nostra realtà: una società basata sull'apparire, in cui chiunque, facendo "bella presenza" e con gli agganci giusti, può aspirare a diventare famoso, a fare i soldi e a vivere in super ville, con comparsate in tv, serate in locali esclusivi e circondati da belle ragazze (o ragazzi, qui non si discrimina nessuno): serve solo un cellulare e tanta inventiva. Neuz, nasconde sotto la patina dell'ironia (di nuovo il discorso di fare "bella presenza") un problema reale, che dovrebbe far riflettere la gente. Questo nuovo star system che si è venuto a creare nella società moderna viene percepito come a portata di mano da chiunque, talmente da chiunque che persino uno zombie riesce a diventare un influencer. Anzi, forse proprio perché stiamo parlando di uno zombie (quindi, poverino, una persona che è morta, si esprime male, era reclusa in uno zoo come fenomeno da baraccone e si muove goffamente, cibandosi di interiora come un cane), Zack riesce a instillare nella gente la giusta dose di pietà che sui social ti manda virale.

In un mondo basato sull'apparenza, qualcosa di reale può sempre capitare, e questo si riflette nell'amicizia con Colin, che è un caciarone, ma in fondo è buono, aiuta Zack e gli sta accanto, battibecca con lui, lo aiuta a reintegrarsi nella società insegnandogli come si parla, il linguaggio del corpo da assumere eccetera. In generale i personaggi sono tutti ben sfaccettati, sono loro che conducono la trama e non la subiscono come a volte può capitare che succeda se il libro non è ben pianificato. E questo libro è estremamente ben pianificato, l'autrice sapeva benissimo cosa stava facendo e l'ha fatto molto bene. È tutto realistico, tutto stupendo. I personaggi non sono eroi, non sono cattivi e il grigio della loro personalità si adatta molto bene al tenore della storia che viene raccontata. Vengono commessi degli sbagli, spesso il frutto del voler reprimere la loro personalità 

Gli zombie siamo noi, per questo si può dire che questa "non è una storia di zombie": viviamo in una società veloce, in cui il nostro cervello rallenta a tal punto da non farci concentrare su qualcosa per più di una decina di secondi, durata media di un video sui social, ci sorbiamo passivamente tutto ciò che qualcun altro ci mette davanti, Zack è l'emblema di tutti quei bambini che vediamo con un cellulare davanti per non farli piangere (nel suo caso di non mangiarsi qualcuno) che da grandi si perderanno nei meandri di un mondo che non sanno come gestire, invischiandosi in sfide che spesso risultano mortali per sé o per gli altri.

Questo si piazza senza ombra di dubbio tra i migliori esordi letterari che io abbia mai letto, tra i migliori libri autopubblicati che io abbia mai letto e prego caldamente chiunque di recuperarlo il prima possibile.

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