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sabato 1 febbraio 2025

"Casa di foglie" Mark Z. Danielewski

 

Johnny Truant lavora nello studio di un tatuatore. È innamorato perso di una stripper che ha come nome d'arte Tamburello e ha un migliore amico, Lude, che vive in un complesso di appartamenti in cui abita anche una ragazza madre e un vecchio che si fa chiamare Zampanò. Nessuno sa quale sia il suo vero nome, ma quando, a ottant'anni suonati, muore, Zampanò lascia in eredità la sua casa fatiscente, al pianterreno, che affaccia sul cortile, e un plico di fogli che, secondo un resoconto che Truant stesso scrive e allega al plico stesso a mo' di introduzione, gli ha causato incubi talmente pesanti che nessun farmaco o altro rimedio può placarli. L'introduzione stessa, lunghissima, che serve da monito al lettore per sapere in che avventura si sta imbarcando (ma che in realtà non fa altro che confonderlo e incuriosirlo ancora di più).

Il romanzo "vero e proprio" comincia in maniera piuttosto confusa, presentandosi come la recensione/commento critico di un film intitolato "the Navidson record". Qui iniziano a sorgere i primi dubbi nel lettore (almeno, io mi sono fatta queste domande, un altro può dirmi che lui ha capito tutto e che sono scema io a farmi certe domande, con libri del genere può essere tutto): il film in questione è un mockumentary? È un documentario vero e proprio? È l'opera di un genio visionario, un regista che ha fatto del minimalismo la sua firma, è lo scherzo di un burlone, oppure quello che leggiamo è la verità? Dopotutto, oltre al testo che stiamo leggendo non ci sono pervenute altre attestazioni di quest'opera (così come dei numeri delle riviste che sono citate nelle note a piè di pagina, per ammissione di Truant,), quindi ogni dubbio è lecito.

Premetto fin d'ora che io di film e della loro costruzione non ne so molto, quindi sentitevi liberi di contraddirmi se leggendo la recensione vi sembrerà che stia sparando un mare di scemenze. Alla fine il confronto è la parte divertente della lettura e del consumo dell'arte in generale, no?

Comunque, il protagonista di "the Navidson record" è tale Will Navidson, che si trasferisce insieme alla famiglia (la moglie Karen, ex modella, e i due figli Chad e Daisy) in una nuova 𝖈𝖆𝖘𝖆 (termine che viene scritto sempre con questo font specifico, quindi chi sono io per non replicare questa scelta?), lontana dalla città, dalla frenesia, dal traffico: una 𝖈𝖆𝖘𝖆 arroccata su una collina in cui i Navidson potranno avere una vita tranquilla e in cui il capofamiglia può condurre l'esperimento di installare delle telecamere sensibili al movimento e riprendere moglie e figli in scene di vita quotidiana (fornisce anche delle cassette e degli obiettivi alla moglie per tenere un diario registrato ogni giorno).

Il primo vero problema sorge nel momento in cui in una nota a margine scritta a macchina da Truant scopriamo che lui ha iniziato a manomettere il libro (e già lui aveva spiegato che raccontare balle gli veniva piuttosto naturale come tattica di rimorchio, anche se si rivelerà spesso inefficace). Quindi il dubbio che ci sia qualcosa che non vada in questo racconto diventa una certezza sempre più solida.

Pian piano, le fondamenta di quella che sembra una perfetta famiglia americana iniziano a scricchiolare, preparandosi a crollare: Will spesso partiva per lunghi viaggi lontano da 𝖈𝖆𝖘𝖆 per lavoro, ma alcune menti maliziose hanno avanzato l'ipotesi che fosse Karen a mettere le corna a lui.

A metà tra "The Blair Witch Project" e "You should have left" (ma meglio) ci sta "the Navidson record", che mostra il lento e inesorabile declino della famiglia Navidson. Le note a margine rendono il libro un articolo vero e proprio: possono non essere lette, almeno quelle in cui vengono specificati gli articoli di giornale da cui sono tratte alcune citazioni, ma altre, quelle aggiunte a macchina dal nostro narratore, che ci prende per mano e ci conduce attraverso l'incubo che ha attraversato anche lui, sono più importanti, per le ragioni che spiegavo prima. L'elemento orrorifico è sottile, non ci sono jumpscare o quant'altro. Ti porta a dubitare della tua stessa sanità mentale. Sei tu ad avere un problema? È la 𝖈𝖆𝖘𝖆 che cambia appena i suoi abitanti abbassano la guardia? È il narratore che è inaffidabile e sta facendo di tutto per non farti capire niente? Tante sono le domande e poche le risposte.

Facciamo la conoscenza del fratello gemello di Will, Tom: i due non si parlano da otto anni, Tom era alcolizzato ma da due anni è sobrio, e quando Will lo chiama perché 𝖈𝖆𝖘𝖆 sua è più grande dentro che fuori di un quarto di pollice, Tom corre in suo aiuto e non esita a fornirgli delle soluzioni pragmatiche a riguardo. Il distacco tra i due è evidente anche per l'autore del saggio/recensione/chiamatelo-come-vi-pare. Will è sempre chiamato per cognome, è il più freddo e distaccato tra i due, Tom è quello gioviale, non è ricco come il fratello ma sta simpatico ai suoi nipoti e pure alla cognata, è rilassato, tranquillo. Persino la moglie di Will ha un doppio standard, chiamando il fratello del marito per nome e il marito stesso con il nomignolo Navy.

Prima dicevo di non saperne molto di cinema, ma la verità è che non ne so molto nemmeno di horror, quindi è possibile che dirò un sacco di scemenze, però uno degli "stereotipi" dell'horror è che i protagonisti, una volta che si sono trasferiti nella 𝖈𝖆𝖘𝖆 o in generale nel setting che poi farà da sfondo alla vicenda, vengono isolati. Qui invece sono costantemente in contatto con persone esterne, Will con suo fratello e un amico di vecchia data, Karen parla anche lei con un'amica, fanno viaggi per andare a incontrare gente che vive lontana. I bambini invece sono quelli che si adattano meglio al cambiamenti della 𝖈𝖆𝖘𝖆 perché, come dice il libro stesso, non conoscono ancora molto bene le regole del mondo.

La narrazione viene sospesa su un colpo di scena (Tom e Will scoprono che lo spazio tra il muro e la libreria a parete di Karen è aumentato: si sente la donna strillare ma non si capisce perché) per fare una lunga, lunghissima digressione sulla figura mitologica di Eco che, da come l'ho capita io, serve per iniziare a introdurre un'angosciante presenza in 𝖈𝖆𝖘𝖆 Navidson, un'entità che ha subito sofferenze nella vita e ora tormenta gli altri da morta. Ma non lo so per certo, al momento l'unica cosa che si è sentita è un ringhio basso che per quanto ne sappiamo potrebbe appartenere al cane di famiglia (anche se gli animali non si avvicinano mai al corridoio che si è aggiunto nel frattempo, mentre la famiglia era in vacanza).

L'innovazione in questo libro, per quanto mi riguarda, non consiste nella trama, che è abbastanza basica e non presenta particolari guizzi, ma nel modo in cui la storia è realizzata. DI libri horror ne ho letti pochi, ammetto la mia parziale ignoranza in questo argomento, ma comunque non capita tutti i giorni di leggere una storia in cui chi la scrive inizia a vaneggiare sempre di più mentre la redige, tanto che inizia a scrivere al contrario, inserendo quadrati scuri, scrivendo in verticale, a spirale e obliquamente, anche una sola parola per pagina. Questo infatti è un romanzo che fa tanto affidamento sulle atmosfere (non sempre riuscendoci, ma questa è la mia opinione personale) e soprattutto sulla percezione che i vari personaggi hanno dell'ambiente circostante. È riuscita molto bene per quanto mi riguarda la struttura di pseudo saggio con cui la storia è stata impostata, anche se spesso le note a margine sono fin troppo invadenti all'interno della narrazione. Ho trovato un po' troppo prolissa la seconda metà, che è un continuo ripetersi delle stesse descrizioni, i personaggi si appiattiscono quasi totalmente in favore delle "sensazioni" e degli esperimenti stilistici e di formato.

Nota di demerito va ovviamente alla traduzione, stiamo pur sempre parlando di un libro che in Italia è edito dal Male Incarnato, quindi calchi e virgole usate a caso qui si sprecano.

In sintesi questo libro sarebbe stato ottimo se fosse stato un poco più breve.

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