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mercoledì 26 febbraio 2025

"La figlia del drago di ferro": un libro un po' altalenante

Per questo libro provo sensazioni contrastanti. Sicuramente ha degli aspetti positivi, e con questo mi riferisco soprattutto al worldbuilding, un incrocio tra Tolkien e Dickens, ma per la stragrande maggioranza del libro ho avuto la percezione che mancasse qualcosa.

Poi, al 45% circa, ho avuto la folgorazione. Il mio problema con questo libro è dato principalmente dallo stile. Non perché sia brutto, chiariamoci subito: è scritto bene e non mi posso lamentare nemmeno della traduzione (sebbene presenti qualche refuso e non sia d'accordo del tutto con alcune scelte fatte dalla traduttrice come un "her heart went out to them" tradotto all'incirca con "aveva stima di loro"). Quello che non mi è piaciuto del tutto è che l'autore ha lasciato troppo non detto. Soprattutto all'inizio ci sono molti salti temporali che mi hanno confusa e mi hanno lasciata con un senso di smarrimento un po' troppo pesante. Inoltre, credo che siano stati inseriti un po' troppi personaggi secondari che orbitano attorno a Jane troppe specie del folklore inglese e non solo, troppa gente la cui personalità non viene approfondita per ovvie ragioni di spazio. Per il bene dell'approfondimento del mondo distopico in cui ha ambientato la sua storia, ha dovuto sacrificare i personaggi, esattamente come aveva fatto Tolkien, che per troppo amore della filologia ha sacrificato... tutto il resto (ma non aprirò la parentesi adesso perché non voglio farmi linciare dai tolkieniani). La stessa Jane, che dovrebbe essere la protagonista, finisce per diventare una Mary Sue con una caratteristica in croce ma che, essendo l'unico personaggio ricorrente, finisce per spiccare per forza. In particolare, l'insistenza ingiustificata di Rattuncolo nell'infastidire la ragazza, anche in maniera molto pesante, mi ha fatto storcere il naso. E soprattutto ho trovato che il fatto che nessuno degli studenti prendesse mai le sue parti fosse altamente fastidioso. Che i professori additassero lei come la causa di quasi ogni male poteva anche andarmi bene (lei è pur sempre una changeling, quindi ci sta, anche se poi ci arriviamo dopo a questo aspetto) se almeno uno degli studenti avessero preso le sue parti. Il fatto che alcune cose non fossero descritte fa empatizzare poco coi personaggi, le vicende scivolano addosso al lettore che si ritrova a subire passivamente tutto quello che succede e si trova a mio avviso poco coinvolto.

Passando alle cose che mi sono piaciute, dicevo che il WB è ben riuscito, e questa è la mia parte preferita. Ci troviamo a metà tra il mondo reale e uno parallelo in cui le creature del folklore nordico esistono davvero. Siamo, almeno all'inizio, in piena rivoluzione industriale, con una denuncia tutto sommato ben riuscita al lavoro minorile nelle workhouses. I bambini che compaiono qui lavorano in una fabbrica che fa manutenzione ai draghi, macchine portentose, prodigi di tecnologia. La magia, per quanto semplice, è solida e coerente e, anche se ho trovato le scene di sesso in alcuni punti eccessivamente esplicite sono state funzionali alla narrazione. Il rapporto tra Jane e Melanchthon quando c'è è una figata, i due si aiutano a vicenda e il loro è un vero e proprio rapporto simbiotico. Il problema è che non sempre c'è. I personaggi secondari sono impalpabili come carta velina ma, complice un titolo fuorviante, speravo che la presenza del drago sarebbe stata più consistente. Purtroppo non è così, i due sono spesso separati e quando sono insieme lui passa il suo tempo a ignorarla, quindi è stato frustrante leggere della loro "relazione",

Anche la Decima si basava su un concetto tristemente realistico e plausibile, però è stata costruita in maniera un po' troppo frettolosa e realizzata ancora più di fretta. Ho percepito poco le emozioni che si provano durante una vera e propria rivolta, e il fatto che tutto nasca e si chiuda praticamente all'interno dello stesso capitolo o poco più mi ha fatto percepire il tutto come freddo e distaccato.

E capisco l'etichetta weird/steampunk (genere che, ho scoperto, mi piace tantissimo), capisco il voler insistere sull'ambientazione e sulle implicazioni sociali che questa assume nei confronti dei personaggi, ma avrei preferito un guizzo in più, il non detto pesa troppo sulla narrazione. E di base va anche bene lasciare qualcosa all'interpretazione del lettore, purché sia qualcosa, mentre in questo libro sono più le cose che vengono elise rispetto a quelle che vengono raccontate. Ci sono troppi salti temporali che non vengono spiegati e che confondono il lettore, portandolo a estraniarsi rispetto alle vicende che vengono raccontate, invece di immedesimarsi coi personaggi.

In sintesi questo libro supera la sufficienza ma si ferma lì, non osa oltre. Con ogni probabilità leggerò i seguiti, quando saranno editi in Italia, ma sarà una lettura che farò con calma, ridimensionando considerevolmente le mie aspettative a riguardo.

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