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lunedì 24 marzo 2025

"Empire of Silence", Christopher Ruocchio

 

Prendete Game of Thrones, metteteci una spruzzata di Dune e, perché no, anche di storia romana, e avete ottenuto questo libro.

Ammetto che avevo paura a leggere questo libro perché io e la fantascienza non andiamo molto d'accordo, avevo provato a più riprese ad approcciarmi al genere ma avevo perso interesse poco dopo aver iniziato il libro. E il fatto che avessi iniziato questo libro in inglese mi spaventava ancora di più. Ma in questo caso ho trovato un romanzo con cui sono entrata in sintonia fin dalle prime pagine. Okay, magari non dovete aspettarvi la cosa più originale del mondo, ma le mazzate che arrivano sono secche secche.

Protagonista del libro è Hadrian Marlowe, figlio di un nobile di Delos e futuro erede al suo trono che dalla vita non ha ricevuto altro che mazzate. Suo padre è freddo con lui, sua madre praticamente è come se non esistesse, sente tanto il confronto con suo fratello Crispin, che sembra essere migliore di lui in tutto, dall'aspetto fisico, alla forza e alle tattiche militari. Hadrian sa di non essere adatto a governare, vorrebbe fare l'erudito, ma quell'ansia da prestazione che lo porta sempre al confronto col fratello lo porta spesso a ripetersi: non mi importa se quella data cosa non tocca a me o non mi interessa, farò di tutto per impegnarmi a ottenerla purché non l'abbia Crispin. Le cose cambiano quando, dopo un pestaggio, il padre di Hadrian mette la parola fine a tutte le vergogne che Hadrian con la sua sola esistenza ha attirato su casa Marlowe, decidendo di spedirlo lontano dal pianeta d'origine per fargli seguire un culto religioso. Il racconto da lì in avanti si fa frammentato, il lettore vede attraverso gli occhi di Hadrian quello che succede, la narrazione è parziale (il romanzo è scritto in prima persona e questo tratto stilistico è gestito benissimo), la sofferenza che prova il protagonista è plausibile. Personalmente il momento in cui Hadrian da nobile diventa un accattone, un ladro, è la vera svolta: la sua vera personalità inizia a venire fuori, il suo carisma e il suo carattere sembrano più veri, più genuini, è come se fino ad allora non avesse vissuto davvero e solo in quel momento la sua essenza viene fuori. Suo padre non incombe più su di lui con la sua personalità ingombrante, non sente più il peso degli obblighi che ha in quanto erede al trono. La cosa che sicuramente ho apprezzato di più (almeno una delle cose che mi ha fatto più piacere leggere) è stata la cultura: la vita sulla Terra è ormai cosa superata, ma comunque la conquista dello spazio è un evento relativamente recente, da quello che ho capito; la cultura terrestre non è andata perduta del tutto (i nobili più istruiti, per esempio, ricordano ancora Omero, Virgilio e compagni e sanno parlare lingue che loro considerano morte, come l'inglese) ma comunque si è evoluta in maniera armoniosa e coerente. La parte centrale viene parzialmente dedicata anche a un approfondimento linguistico, e io sono andata in brodo di giuggiole: adoro sempre quando nei libri, soprattutto fantasy, l'autore si prende la briga di spiegarti come funziona il sistema linguistico per rendere ancora più realistico il mondo che viene creato. Di solito non amo i racconti in prima persona, ma in questo caso la trovo una scelta azzeccata, se posso azzardare un'ipotesi direi che è l'unica scelta possibile: scrivere una storia in prima persona è inutile se non si sente la "voce" del personaggio che te la sta raccontando, ma in questo caso la voce del protagonista si sente forte e chiara. Hadrian ha i suoi traumi, ha le sue vicissitudini, ha i suoi amori e i suoi amici. È un personaggio a tutto tondo, uno con cui riesci a empatizzare nonostante alcune decisioni controverse, perché se ci si ferma a riflettere si capisce che chiunque, pressato dalle circostanti, avrebbe agito nello stesso modo.

Un difetto che mi permetto di notare è che l'ho trovato un pelino troppo prolisso nelle descrizioni delle azioni. Alla lunga stufa che si continui a "perdere tempo" descrivendo azioni inutili allo sviluppo della scena, come il sorriso di un personaggio, il fatto che avesse gli occhi di questo o quest'altro colore, il fatto che inarchi le sopracciglia una riga sì e una no. Ho trovato in generale lo stile fin troppo didascalico, poteva essere notevolmente asciugato e avrebbe funzionato comunque (col pregio che la storia sarebbe stata più corta, invece delle settecento e passa pagine che dura questo sequestro di persona). La parte centrale, infatti, quando Had combatte nel Colosseo sotto copertura e quant'altro, è stata parecchio difficile da digerire e ha rallentato considerevolmente la lettura, che fino a quel momento mi era risultata molto gradevole e scorrevole. Questa è l'unica pecca che rallenta un po' lo stile altrimenti buono.

Il finale è stata una batosta emotiva clamorosa: Hadrian rompe la quarta parete per rivolgersi direttamente al Lettore (scritto proprio con la maiuscola, the Reader) per ringraziarlo del tempo che ha dedicato alla sua storia. Da lì in avanti il lettore ha due scelte: può dichiarare concluso il suo rapporto con la storia o può seguire Hadrian nel suo viaggio che lui ha comunque intenzione di intraprendere, anche a costo di farlo da solo.

Questo è il memoir di Hadrian (il gioco parole con il libro di Marguerite Yourcenar non è voluto, giuro, anche se col senno di poi non è un paragone così sbagliato), un racconto in cui prova a convincere un interlocutore che rimane nell'ombra fino alla fine (ma io ho interpretato i vari "tu" che vengono ripetuti nel corso del racconto come "chiunque sia disposto ad ascoltarlo") che la sua vita è stata una merda. Ma è davvero questa la verità oggettiva delle cose?

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