martedì 29 aprile 2025

"The steel remains", un libro che mi è piaciuto, ma qualche riserva

 

Prima di cominciare con la recensione, parto con una lamentela, che per chi mi segue su questi schermi da un po' non è una novità, ma fa sempre bene ribadirlo.

La traduzione fa schifo.

Avevo iniziato a leggere questo libro in italiano e se avessi continuato così lo avrei mollato al 15%. Poi ho cominciato a leggerlo in inglese e le cose sono andate meglio. Ciò non toglie che questo libro ha dei difetti, ma almeno non è il disastro totale che si prospettava dalla lettura in traduzione.

Partiamo dalle cose positive, così indoro un po' la pillola prima di parlare delle cose che non mi sono piaciute.

Innanzitutto, il pregio più grande di questo libro secondo me è dato da Ringil. Lui è il vero protagonista di questa storia (e questo è parte del problema secondo me, ma ne riparliamo dopo) e ai miei occhi è perfetto. È un uomo adulto, tanto per cominciare, e se adesso siamo fin troppo abituati a vedere ragazzini che a malapena hanno iniziato il liceo che sono invincibili, perfetti e non hanno nemmeno l'ombra di un brufolo in faccia, fa bene una volta ogni tanto vedere che gli adulti si comportano da tali. Poi ha la sua massiccia dose di traumi, data per esempio dal fatto che è omosessuale in un mondo di bigotti che apertamente non lo accettano e lo coprono di insulti o peggio ancora fanno finta di accettarlo e poi lo trattano con freddezza, non lo difendono, hanno quasi paura a guardarlo. Per cui adoro la freddezza con cui lui ha iniziato di riflesso a trattare gli altri, e che, ahimè, nella traduzione non appare. Se in originale lui fa un sacco di battutine molto cupe, è sarcastico e non la manda a dire a nessuno, in italiano sembra un quindicenne frignone a cui i bulli hanno appena rubato la merendina. Senza nulla togliere ai quindicenni bullizzati, ma uno che ha trent'anni suonati (e che è stato stuprato, che ha visto la guerra e ha ammazzato della gente anche in maniera piuttosto brutale) si esprime diversamente da uno che ha la metà dei suoi anni.

Poi la seconda metà del libro decolla davvero. Se la prima parte è più lenta e barbosa, serve per creare l'ambientazione giusta, la seconda è quella dove succede la ciccia, il ritmo accelera e anche i due comprimari diventano personaggi più interessanti.

Perché questo è un altro punto dolente per me, e stavolta la traduzione non c'entra. Oltre a uno stile che ho trovato un po' fuori dalle mie corde, che lascia molto spazio al "non detto" e alle congetture, avrei preferito che il protagonista fosse unico. Non solo avrebbe reso più digeribile lo stile, ma avrebbe anche mantenuto il focus su quello che è il personaggio più interessante. Gli altri due (Egar e Archeth) sono delle macchiette che rimangono sullo sfondo e servono solo a farti scoprire dettagli in più che comunque per quanto mi riguarda si sarebbero potute scoprire anche senza il loro contributo. Da questo punto di vista ho trovato Archeth lievemente più importante soprattutto sul finale, ma dedicarle un pov intero mi è parso un pelino esagerato.

Questo è tutto sommato un esperimento riuscito, che mescola due generi fantasy a cui io sono poco avvezza ma riesce a farlo molto bene, con uno stile che secondo me regge meglio i dialoghi ma che si perde in descrizioni un po' troppo lunghe e vaghe; resta comunque il fatto che sono curiosa di leggere i seguiti.

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