Gods of the wyrwood è un libro boschivo, perfetto da leggere nel periodo autunnale per le atmosfere che propone e le tematiche che tratta, quando le prime piogge iniziano a spezzare l'afa estiva e la nebbia aleggia sulla Padania come un lenzuolo bianco... questo forse è solo un "privilegio" mio e di quei poveri disgraziati che come me hanno la sfortuna di ritrovarsi in questa landa desolata. Non mi convincerete mai che questo è un bel posto in cui vivere, non mi avrete mai.
Ma torniamo a noi, il libro si presta molto bene alla costruzione dell'ambientazione, come ho già detto, e dei personaggi, Il protagonista, Cahan, e il Trion Venn (in realtà nel libro ci si riferisce a Venn col pronome they/them, ma in mancanza di una soluzione migliore che non coinvolga la schwa utilizzerò il "lui" generico e sovraesteso) e la monaca Udinny sono i tre protagonisti di questo romanzo e sono tutti e tre ben costruiti, in particolare Venn che ha una morale solida e mi è piaciuto per la sua anima pura e gentile nonostante le sofferenze a cui sua madre l'ha sottoposto da sempre a causa del forte potere che ha manifestato e che lei vorrebbe sfruttare per guadagnare ancora più forza e incutere più timore ai suoi sudditi. Da quello che si capisce, il mondo è a forte struttura matriarcale, c'è un senso di appartenenza alla comunità e chi non si è integrato (per scelta o per sfiga) non è ben visto.
Anche la questione religiosa è particolarmente presente. Se non veneri l'unico Dio, Tarl-an-Gig, che ha preso il posto della moltitudine di dei del passato, sei guardato storto, le persone provano a indottrinarti per farti cambiare idea, e se le due cose (il fatto di non appartenere a una comunità e di non venerare nessun dio in particolare) coincidono, apriti cielo. Ed è proprio per questo che a me Cahan piace, nonostante ci metta un po' a farsi voler bene (e poi mi spiego meglio quando parlerò delle cose che non mi sono piaciute), perché lui è emarginato, ma non è che gli interessi molto. Ovviamente gli pesano le occhiatacce che gli abitanti di Harn, il paesello nei pressi del quale vive, gli rivolgono ogni volta che è costretto a entrarci per vendere le pelli dei suoi capi di bestiame morti o le altre cose che produce per guadagnarsi da vivere, ma alla fine ci ha fatto un po' pace. La sua famiglia allargata (non è che sia spiegato proprio benissimo, ma da alcune allusioni si capisce che i nuclei familiari non si riducono ai genitori e i figli, ma anche a più mogli e mariti che convivono insieme praticando il poliamore) era una "senza tribù", e lui ha proseguito questa "tradizione" anche dopo essere uscito dal monastero di Zorir che cammina nel fuoco (è proprio così il nome del Dio), il Dio nel nome del quale è stato iniziato all'arte della guerra. Però lui rifiuta il suo potere e rifiuta di usarlo, soprattutto se di mezzo ci sono quei paesani rozzi che lo darebbero volentieri in pasto a chi lo sta cercando pur di levarselo di torno. La foresta è parte viva e presente del libro, fa parte della schiera dei personaggi tanto quanto Cahan & Co., fornisce energia, sostegno e protezione a chi sa come chiederglieli, la gente bigotta ha paura anche solo a pensare di metterci piede e al pensiero che qualcuno viva al di là di essa, ma saranno costretti a fare pace col loro cervello per salvare la propria vita.
I problemi per me si hanno soprattutto nel primo 25% e nell'ultimo 10% circa. L'ultimo 10% problematico è dato da un problema mio, le mie energie mentali sono crollate come succede spesso d'estate, mi sono fatta prendere dall'ansia di finirlo e ho iniziato a saltare le pagine. Non fate come me, leggere dev'essere un piacere e se non vi divertite a farlo non fatelo.
Però voglio concentrarmi sul primo quarto di libro, quel primo quarto di libro che secondo me, amplificato e approfondito a dovere, avrebbe potuto dare vita non dico per forza a un intero romanzo ma a una novella prequel come minimo. Avrebbe fatto capire meglio il passato di Cahan coi monaci, il suo modo di pensare (che comunque nel corso del tempo emerge in maniera più chiara, ma sulle prime stranisce), come sia possibile che cambia idea ogni cinque minuti eccetera. I passaggi da una scena all'altra sono netti, come dei tagli cinematografici che su carta reggono male il ritmo della storia, per poi passare a scene in cui ti iper descrive tutto, dalle foglie mosse dal vento alla luce che filtra dalla cupola di alberi. Che per carità, sono immagini stupende, se non avessi paura di non riuscire più ad uscire e di trovarmi di fronte bestie strane mi trasferirei in una foresta tipo subito, però rendono il ritmo molto zoppicante. Però dal 25% in avanti la trama diventa più lineare e comprensibile (ed è anche per questo che vorrei che la prima parte fosse stata staccata dal resto del libro), rendendo il libro una delle migliori letture migliori del mese.