sabato 21 giugno 2025

"Le notti di Cliffmouth, l'ombra del patrono", alias "a volte Marty si ricorda di continuare a leggere le saghe che comincia"

 

Lo ammetto: "luci verdi all'inferno" l'ho letto due anni fa precisi precisi quindi ho dovuto ripassare la trama prendendo come riferimento la mia stessa recensione (e nel dubbio ve la lascio qui così ve lo potete ripassare anche voi prima di rituffarvi a bomba tra i miei sproloqui sul secondo volume).

Probabilmente sarò molto ripetitiva perché anche per questo volume voglio partire lodando lo stile. Per essere alle sue prime esperienze come scrittore di romanzi, Mattia Manfredonia se la cava più che egregiamente: per dovere di cronaca, ho trovato alcune descrizioni lievemente ridondanti e pompose, ma per il resto lo stile regge benissimo la narrazione soprattutto quando si tratta di riportare le interazioni tra i personaggi e le ambientazioni, rendendo scorrevole la lettura delle 500 pagine di cui il romanzo è composto. Ho trovato in alcuni passaggi quello che a mio parere è un abuso di virgole, ma quella è pignoleria che comunque non intacca in alcun modo la lettura e chiedo umilmente scusa se risulto pedante a riguardo.

Per quanto riguarda i personaggi, oltre a quelli che mi avevano stregata già nel primo volume (uno su tutti Edward) ho apprezzato molto la decostruzione di Cordelia. Il suo essere cattiva ai limiti del razzismo nei confronti di Greta è una sua caratteristica dura a morire, non smette di essere tale solo perché la gente le dice di non esserlo, e il fatto che rimanga coerente a se stessa, almeno su questo aspetto, è un ottimo indice di quanto solidi e realistici siano i personaggi. La seconda sezione in particolare rappresenta un punto di svolta sulla narrazione ed è da lì che i personaggi, Cordelia in particolare, iniziano a mettersi in discussione. Magari avrei preferito che certe cose accadessero un po' prima, ma come si dice meglio tardi che mai quindi io non sono nessuno per lamentarmi.

La struttura investigativa del romanzo regge benissimo il confronto col primo volume, forte anche di tutte le migliorie di cui ho appena parlato e dello stile ottimo (al netto dei piccoli difetti a cui accennavo), e continua a ricordarmi una via di mezzo tra un romanzo sulla stessa lunghezza d'onda di "il nome della rosa" e un'avventura testuale.

Il finale secondo me è stato rappresentato piuttosto bene, anche se non condivido la scelta di spezzare la narrazione sulla battaglia rappresentando quasi tutti i pov (e penso soprattutto a Karjack, il cui unico scopo è dire "sono troppo stanco per combattere, però figo quel personaggio che ha un'abilità nascosta che ci torna molto utile in questo confronto!"), ma a parte questo posso dirmi soddisfatta, ricorda l'eclissi di Berserk in versione più piccola.

Al netto di tutto ciò, tirando le somme della recensione, posso dire che questo libro, per essere il primo scritto dall'autore (e per giunta un sequel) si difende molto bene e non vedo l'ora di leggere altri suoi libri.

mercoledì 28 maggio 2025

"Gemelle nel tempo", di Marilena Mazzilli.

 

Ho letto questo libro per una collaborazione, quindi la doverosa premessa è ribadire un grazie immenso all'autrice per avermi proposto di leggere il suo libro in cambio di una recensione onesta.

Recensione onesta che adesso arriva, quindi allacciamoci le cinture e cominciamo.

La storia prende il via in una notte del 1840, quando due losche figure femminili si incontrano con un certo signor Otkins, un orologiaio che ha perso la moglie e ne sente profondamente la mancanza. Otkins interagisce principalmente con una delle due donne, consegnandole un ingranaggio di orologio e due pendolini. In cambio di questi oggetti, gli è stata promessa la vita eterna, ma riuscirà a godersela senza la donna che ha amato?

Su richiesta della donna, l'uomo entra nella torre dell'orologio passando per la porta sul retro del castello e inserisce l'ingranaggio al suo posto. All'interno del castello, nel frattempo, Rosemary Countercry sta partorendo la sua prima figlia, a cui viene dato nome Elizabeth, e il parto va bene. Ma a mezzanotte l'orologio, che è rotto da tempo e nessuno è mai riuscito a riparare, batte i suoi rintocchi. E Rosemary scompare. Anni dopo, e riassumo per doveri di spazio e tempo, Elizabeth, ormai cresciuta, entra in società e conosce Alfred Soutersby, un Duca affascinante che ben presto diventerà suo marito. Ma quando arriva il momento di partorire le figlie gemelle che anni dopo i due hanno insieme, Rose, una delle due bimbe, sparisce nel nulla com'era stato per Rosemary anni prima. E com'era stato per Rosemary anni prima, nel momento in cui la bambina sparisce l'orologio suona. La storia poi si sviluppa seguendo le vicende di Bel Ercry una restauratrice e guida di museo che negli anni '70 viene chiamata nel castello della famiglia Countercry, ormai decaduta (e il mio riassunto si ferma qui per evitare di fare spoiler).

"Gemelle nel tempo" è il romanzo d'esordio di Marilena Mazzilli, che sviluppa in maniera egregia un'idea molto interessante. Da fan dei mattoni avrei preferito che ci fossero delle spiegazioni in più riguardo al funzionamento del sistema magico, in particolare per quanto riguarda il materiale con cui sono stati fatti i due pendoli e l'ingranaggio che vengono mostrati nel prologo (per ammissione degli stessi personaggi coinvolti il materiale è apposito per garantire gli sviluppi che vengono messi in scena nel corso del romanzo). Inoltre ho trovato che, complice anche l'inesperienza, spesso venga fatto un po' di info dumping, l'eccessiva descrizione di dettagli che potrebbero essere evitati (l'espressione, il colore e il taglio di capelli, il colore degli occhi e la postura di ogni singolo personaggio), ma d'altra parte, ad eccezione di qualche refuso che ho trovato (ma sono giusto un paio, un trent'enne e un altra scritto senza apostrofo), lo stile regge bene il ritmo della storia e non è mai pesante, sostiene bene i colpi di scena e soprattutto le ambientazioni (voi non capite quanto le ho amate, se mi si parla di castelli, nebbia e brughiera io parto per la tangente).

Questo secondo me è un perfetto romanzo soprattutto per un pubblico più giovane, per approcciarsi al genere e non vedo l'ora di seguire l'autrice in altre avventure (e sicuramente inizierò a recuperarmi gli altri romanzi del ciclo che sono stati pubblicati e dedicati ad altri castelli).

giovedì 15 maggio 2025

"La bellezza del vuoto", Giulia Calligola

 

Questo libro mi ha mandata in crisi.

Lo lessi per la prima volta credo sei anni fa, in occasione della sua seconda edizione (quella copertina rimane la mia preferita, però anche la composizione grafica di questa è stupenda aaaaaa) e l'avevo adorato, anche se, pur non sapendo spiegare perché, c'erano dei passaggi che non mi convincevano, che mi sembravano troppo affrettati.

Ma adesso, con questa riedizione, lo stile è migliorato. Già in "trecento danze" avevo notato un netto miglioramento nello stile di scrittura, ma adesso (potendo fare un confronto tra un'edizione più vecchia e questa) ne ho avuto la conferma. La trama sostanzialmente rimane la stessa, ma alcune scene sono state modificate, ne sono state aggiunte delle altre, il worldbuilding è stato ampliato e le personalità dei personaggi è stata delineata in maniera più netta. Amo questo libro come poche cose nella mia vita. Amo il processo di decostruzione di Caesar, che passa da assassino freddo e spietato a essere umano che si mette in discussione e ridimensiona tutta la sua morale (che già prima era discutibile, per carità, ma c'era ed era solida).

E allora perché mi manda in crisi? Perché è talmente bello che qualsiasi commento io possa fare mi sembra superfluo e persino stucchevole.

Mi sento solo di sottolineare due cose: la rappresentazione della disabilità di Morrigan (cieca dalla nascita e affetta da un morbo che piano piano le porterà via tutti gli altri sensi) è trattata con una sensibilità incredibile, che raramente si trova in un libro di questo tipo (e a onor del vero raramente la disabilità viene rappresentata nei libri, di qualsiasi genere essi siano e se viene fatto è un elemento marginale che poi finisce per essere accantonato o dimenticato nel corso della narrazione) e le scene più esplicite (siano esse di violenza fisica e/o psicologica o erotiche) sono tra le migliori che mi sia mai capitato di leggere.

Non so davvero che altro aggiungere (come al solito non inserirò la trama perché potete benissimo cercarvela da soli se vi interessano i dark fantasy molto dark), se non che questo è a mani basse nella top 5 dei libri migliori che ho letto quest'anno. E considerato che siamo solo a maggio questo mi pare un ottimo risultato.

mercoledì 14 maggio 2025

"Il vortice nero parte 2", Daniele Viaroli

 



Finalmente ci siamo. La ciccia è successa. Il dado è tratto. La battaglia per Crocevia, gli impiccetti in cui non si sa più chi sta da quale parte, le vicende che si intrecciano, i personaggi (che sono tanti) che se menano.

In questo libro succede larobba, e adesso che è successa io urlo, rido e piango insieme.

La trama è la diretta prosecuzione di quello che succede nel primo volume, i protagonisti sono sparpagliati per il multiverso per cercare di organizzare la resistenza alla guerra imminente, il tutto alternato degli interludi, che, lo ammetto, rimangono la mia parte preferita della storia.

Lo stile è scorrevole come sempre e alterna ancora una volta scene più serie a comicità idiota ma non per questo meno divertente.

Di sicuro lo stile regge bene gli spostamenti da un punto di vista all'altro e le voci dei vari personaggi sono nette e ben definite. Menzione di merito, in questo caso, va a Kaleros (credo ci vada qualche h in mezzo quindi chiedo umilmente scusa e perdono se ho scritto male, eroe della situazione e che ha retto magistralmente sulle sue spalle il pov dedicato a lui e Ana. Però anche quegli interludi mamma mia che belli che sono, Aeimundr e Odin sono la bromance che mi meritavo.

Qui vi lascio il commento alla prima parte del volume, la base è sempre quella. Adesso si aspetta il momento in cui potrò comprare il quarto volume in questo modo:



domenica 11 maggio 2025

"Morituri fighting league", Ben Bamboo Korami

 

Per questo libro farò una cosa che di solito detesto. Vi lascio la trama, così poi ci torna utile per il ragionamento che voglio fare dopo.

"Italia, futuro prossimo. Decenni di perfezionamento dei sistemi di cura contro il cancro hanno portato allo sviluppo di nuove forme iperaggressive in grado di sopravvivere ai loro stessi ospiti.

Gene Marano, ex divo del cinema d’azione, è reduce dalla burrascosa separazione con la moglie che lo ha lasciato quasi al verde. Ora vive nello squallore dei Muzik Rave Bar, tra droghe sintetiche, ritmi stroboscopici e prostituite a basso costo.

La scoperta di avere un cancro in fase terminale gli apre una nuova possibilità: facendosi sottoporre a uno degli interventi pro-bono della Neoplasm Inc, potrebbe diventare un neo-gladiatore della Morituri Fighting League, il reality di punta dell’azienda dove i convalescenti combattono contro i loro stessi cancri in arene costruite nelle location più iconiche del Bel Paese. Un modo non solo per salvarsi la vita, ma anche per tornare sulla cresta dell’onda e riacquistare l’amore del pubblico.

Dal Ponte sullo Stretto, alla colossale Madunina Showdown Arena, fino al Colosseo Restaurato, Gene dovrà sopravvivere per diventare campione della MFL, sotto l’ombra di un segreto che la Neoplasm stessa ha fatto carte false per non divulgare…"

Interessante, vero? Questa trama, insieme a una cura per i dettagli medici che denotano l'esperienza in questo campo, costituiscono i punti di forza del romanzo, un fantasy distopico e steampunk (splatterpunk, lo definisce l'autore e io riciclo il termine perché mi piace tanto).

Ma, lo avrete intuito dal mio tono, in questo libro c'è un problema, secondo me, e questo problema è lo stile. Da questo derivano una serie di altri problemi di cui adesso andiamo a parlare, ma di base lo stile è un po' farraginoso, soprattutto nella misura in cui il romanzo è molto sbilanciato tra le due parti, nella prima metà si perde un po' troppo in descrizioni inutili, in flussi di coscienza che in romanzi in terza persona è strano vedere, in dialoghi spesso troppo scurrili (non che a me dia fastidio, ma erano più le battute in cui erano presenti parolacce che quelle senza) e un sacco di refusi (davvero tantissimi, più o meno gravi che fossero). Il romanzo prende propriamente il via troppo tardi, solo a metà volume, ed essendo uno standalone rosico un po' al pensiero che poteva essere un ottimo romanzo rovinato dalla fretta di raccontare il nulla cosmico per pagine e pagine per poi condensare il mondo nella restante metà. Inoltre ho trovato il personaggio di Aly troppo poco presente quando in realtà era il personaggio più interessante tra lei e Gene, il protagonista maschile. E già che stiamo parlando dei personaggi, li ho trovati tutti troppo piatti, tutti parlavano con la stessa voce e tutti che vagavano senza uno scopo nella vita, quando in realtà il loro passato da malati di cancro avrebbe dovuto spingerli esattamente nella direzione opposta e dar loro una marcia in più per “sopravvivere”.

In sintesi, secondo me questo libro è un’occasione sprecata, che comunque intrattiene un po’ di più nelle scene più dinamiche ma si perde un po’ via sulla parte filosofica, appiattendo notevolmente la narrazione. 

sabato 10 maggio 2025

"Sangue alla terra", un po' western, un po' mistery e un po' fantasy

 

Quando devo scegliere che libro leggere mi baso su tre criteri. Il primo è il genere: ce ne sono alcuni che apprezzo di più e altri meno, quindi sapere in che avventura mi vado a imbarcare di sicuro mi agevola. Il secondo: la copertina. Credo che il detto "non giudicare un libro dalla copertina" sia la cosa più sbagliata da dire a qualcuno. Innanzitutto perché l'oggetto libro vale quasi quanto il suo contenuto e se non servisse fare la copertina leggeremmo dei libri tenuti insieme da fogli bianchi, e secondo perché mi piace analizzare i dettagli e vedere in che modo compariranno nella storia (e poi diciamocelo, sono una persona frivola e voglio avere sulla mia libreria o nel mio Kindle dei libri belli tanto dentro quanto fuori). Il terzo punto è chi mi parla di questo libro. Se qualcuno mi dice "leggi questo libro, secondo me ti può piacere" (o magari anche in maniera indiretta qualcuno che seguo sui soscialz ne parla) io lo devo leggere, e da lì non me ne frega niente della trama, dei personaggi, del genere di chi ha scritto il libro.

Questo è esattamente cos'è successo con questo libro. A onor del vero qui partivo già un po' più prevenuta, dato che seguo -saltuariamente- l'autore su YouTube e apprezzo le analisi che fa dei libri che recensisce, quindi conoscevo già un po' meglio la sua mentalità e cosa pensa dei vari processi creativi, però resta il fatto che questo libro l'ho comprato a scatola chiusa e l'ho letto grazie a un GDL.

E devo ammettere che in questo caso il mio sesto senso ci ha preso. Come ho scritto nel titolo dell'articolo il libro mescola le ambientazioni del western, le atmosfere del mistery e la magia del fantasy.

Per quanto riguarda la struttura della storia, devo ammettere che gli sviluppi sono quelli che preferisco. La trama si "srotola" in poco più dei una settimana, quindi la narrazione è serrata, spiega tutto lasciando però qualche domanda qua e là che porta il lettore ad avere un ruolo attivo nella lettura, lo porta a sorprendersi e a porsi dei quesiti sullo svolgimento della storia, facendolo dubitare di chiunque, persino di se stesso, perché il sospetto che i vari personaggi hanno nei confronti del professor Cavendish-Bloom perché è un forestiero che peraltro si accompagna a un nativo americano sono gli stessi che il lettore, che legge la storia attraverso gli occhi di Roger, prova per loro. Chi è il nemico? Gli "indiani" (a tal proposito, inserisco questa specifica perché il GDL ha portato a delle riflessioni interessanti, so che il termine "indiani" agli occhi moderni è considerato giustamente sbagliato, ma visto il periodo storico in cui è ambientato il libro lo utilizzo anche io) che vivono nella foresta e venerano i lupi, parlando di "sangue giovane" che viene chiamato a sé dalla madre terra? Lo sceriffo che ha più pregiudizi che anni di età? Il giudice che è più alto che furbo? Sua moglie che a mio parere allunga un po' troppo le mani?

E poi ancora chi è Roger? Qual è il suo legame con Muto? Perché continua a esprimere dimostrazioni di affetto così espansive (chiariamoci non lo reputo sbagliato, leggete il libro e capirete cosa intendo) nei confronti di Roger?

La seconda metà libro è da cardiopalma, pur nella sua linearità: me la sono letta in un pomeriggio, non riuscivo a mettere giù il Kindle e sono certa che questo libro mi darà da pensare per un bel po'.

Questo libro però ha anche dei difetti. Pochi ma ci sono, e per onestà intellettuale devo parlarne. Per quanto mi riguarda, ho trovato che la soluzione di usare uno stile asciutto non si sia rivelata vincente soprattutto per quanto riguarda il finale. Se per un western investigativo più puro avrei accettato più volentieri uno stile che preferisce mostrarti le cose piuttosto che attaccare pipponi infiniti, col fatto che è stata inserita una componente fantasy avrei preferito qualche spiegazione in più. Non farò spoiler (e non farne è molto difficile per far capire che cosa c'è che non va di preciso, però spero di essere stata comunque chiara), però quelle trasformazioni e le interazioni finali tra i nativi e Roger potevano essere gestite un po' meglio.

in secondo luogo, mi ha stranita il fatto che Roger sente un bruciore alla mano per tutta la durata del libro ma che poi magicamente scompare. Per buona parte della storia il lettore è portato a credere che il professore abbia qualcosa di strano, vuoi per la mano che gli fa male, vuoi per dei sogni che fa, oppure ancora per delle cose che pensa. Invece ci si ritrova con un immenso buco nell'acqua, e se si fosse aggiunto qualche dialogo alla fine o qualche spiegazione in più sarebbe stato meglio.

I Teller, poi (e giuro che con questa concludo), sono stati un po' sprecati per quanto mi riguarda, dal momento che la loro utilità è soltanto per deviare il corso della narrazione per un capitolo o due.

Al netto di questi piccoli intoppi che si incontrano soprattutto sul finale, sono convinta che questo libro si meriti di essere letto e attendo con curiosità altre opere dell'autore.

martedì 29 aprile 2025

"The steel remains", un libro che mi è piaciuto, ma qualche riserva

 

Prima di cominciare con la recensione, parto con una lamentela, che per chi mi segue su questi schermi da un po' non è una novità, ma fa sempre bene ribadirlo.

La traduzione fa schifo.

Avevo iniziato a leggere questo libro in italiano e se avessi continuato così lo avrei mollato al 15%. Poi ho cominciato a leggerlo in inglese e le cose sono andate meglio. Ciò non toglie che questo libro ha dei difetti, ma almeno non è il disastro totale che si prospettava dalla lettura in traduzione.

Partiamo dalle cose positive, così indoro un po' la pillola prima di parlare delle cose che non mi sono piaciute.

Innanzitutto, il pregio più grande di questo libro secondo me è dato da Ringil. Lui è il vero protagonista di questa storia (e questo è parte del problema secondo me, ma ne riparliamo dopo) e ai miei occhi è perfetto. È un uomo adulto, tanto per cominciare, e se adesso siamo fin troppo abituati a vedere ragazzini che a malapena hanno iniziato il liceo che sono invincibili, perfetti e non hanno nemmeno l'ombra di un brufolo in faccia, fa bene una volta ogni tanto vedere che gli adulti si comportano da tali. Poi ha la sua massiccia dose di traumi, data per esempio dal fatto che è omosessuale in un mondo di bigotti che apertamente non lo accettano e lo coprono di insulti o peggio ancora fanno finta di accettarlo e poi lo trattano con freddezza, non lo difendono, hanno quasi paura a guardarlo. Per cui adoro la freddezza con cui lui ha iniziato di riflesso a trattare gli altri, e che, ahimè, nella traduzione non appare. Se in originale lui fa un sacco di battutine molto cupe, è sarcastico e non la manda a dire a nessuno, in italiano sembra un quindicenne frignone a cui i bulli hanno appena rubato la merendina. Senza nulla togliere ai quindicenni bullizzati, ma uno che ha trent'anni suonati (e che è stato stuprato, che ha visto la guerra e ha ammazzato della gente anche in maniera piuttosto brutale) si esprime diversamente da uno che ha la metà dei suoi anni.

Poi la seconda metà del libro decolla davvero. Se la prima parte è più lenta e barbosa, serve per creare l'ambientazione giusta, la seconda è quella dove succede la ciccia, il ritmo accelera e anche i due comprimari diventano personaggi più interessanti.

Perché questo è un altro punto dolente per me, e stavolta la traduzione non c'entra. Oltre a uno stile che ho trovato un po' fuori dalle mie corde, che lascia molto spazio al "non detto" e alle congetture, avrei preferito che il protagonista fosse unico. Non solo avrebbe reso più digeribile lo stile, ma avrebbe anche mantenuto il focus su quello che è il personaggio più interessante. Gli altri due (Egar e Archeth) sono delle macchiette che rimangono sullo sfondo e servono solo a farti scoprire dettagli in più che comunque per quanto mi riguarda si sarebbero potute scoprire anche senza il loro contributo. Da questo punto di vista ho trovato Archeth lievemente più importante soprattutto sul finale, ma dedicarle un pov intero mi è parso un pelino esagerato.

Questo è tutto sommato un esperimento riuscito, che mescola due generi fantasy a cui io sono poco avvezza ma riesce a farlo molto bene, con uno stile che secondo me regge meglio i dialoghi ma che si perde in descrizioni un po' troppo lunghe e vaghe; resta comunque il fatto che sono curiosa di leggere i seguiti.

"Le notti di Cliffmouth, l'ombra del patrono", alias "a volte Marty si ricorda di continuare a leggere le saghe che comincia"

  Lo ammetto: "luci verdi all'inferno" l'ho letto due anni fa precisi precisi quindi ho dovuto ripassare la trama prendend...

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