martedì 26 novembre 2024

"Non è una storia di zombie" non è il libro che sembra

 

Prima che lo leggessi, questo libro ha circolato per un po'. E le critiche entusiaste sono piovute dal cielo. Io, da brava persona che supporta gli emergenti e ascolta i consigli degli amici online, ho approfittato di una promozione per comprarlo, e la sorpresa è stata più che piacevole.

La presentazione che ne fa l'autrice su Goodreads è "in pratica c'è uno zombie che diventa influencer ma anziché rubare i soldi dei pandori rischia di mangiarsi la gente", e credo che questo sia il riassunto più efficace che possa fare della trama, perché fa capire alla perfezione qual è il tenore generale della storia. Ma la realtà nasconde una profondità molto maggiore, che per me è difficile da raccontare per rovinare ai potenziali lettori la sorpresa della lettura. Se non volete che vi dica cosa c'è in più, allora, chiudete qui la recensione, aprite il vostro account Amazon e compratevi questo libro meraviglioso: sarà un viaggio di cui non vi pentirete.

Per tutti gli altri, i temerari che non hanno paura degli spoiler (per quanto lievi) e per chi il libro l'ha già letto e vuole sapere la mia opinione, cominciamo la recensione vera e propria.

Ma "Non è una storia di zombie" maschera da finzione tutto ciò che rappresenta la nostra realtà: una società basata sull'apparire, in cui chiunque, facendo "bella presenza" e con gli agganci giusti, può aspirare a diventare famoso, a fare i soldi e a vivere in super ville, con comparsate in tv, serate in locali esclusivi e circondati da belle ragazze (o ragazzi, qui non si discrimina nessuno): serve solo un cellulare e tanta inventiva. Neuz, nasconde sotto la patina dell'ironia (di nuovo il discorso di fare "bella presenza") un problema reale, che dovrebbe far riflettere la gente. Questo nuovo star system che si è venuto a creare nella società moderna viene percepito come a portata di mano da chiunque, talmente da chiunque che persino uno zombie riesce a diventare un influencer. Anzi, forse proprio perché stiamo parlando di uno zombie (quindi, poverino, una persona che è morta, si esprime male, era reclusa in uno zoo come fenomeno da baraccone e si muove goffamente, cibandosi di interiora come un cane), Zack riesce a instillare nella gente la giusta dose di pietà che sui social ti manda virale.

In un mondo basato sull'apparenza, qualcosa di reale può sempre capitare, e questo si riflette nell'amicizia con Colin, che è un caciarone, ma in fondo è buono, aiuta Zack e gli sta accanto, battibecca con lui, lo aiuta a reintegrarsi nella società insegnandogli come si parla, il linguaggio del corpo da assumere eccetera. In generale i personaggi sono tutti ben sfaccettati, sono loro che conducono la trama e non la subiscono come a volte può capitare che succeda se il libro non è ben pianificato. E questo libro è estremamente ben pianificato, l'autrice sapeva benissimo cosa stava facendo e l'ha fatto molto bene. È tutto realistico, tutto stupendo. I personaggi non sono eroi, non sono cattivi e il grigio della loro personalità si adatta molto bene al tenore della storia che viene raccontata. Vengono commessi degli sbagli, spesso il frutto del voler reprimere la loro personalità 

Gli zombie siamo noi, per questo si può dire che questa "non è una storia di zombie": viviamo in una società veloce, in cui il nostro cervello rallenta a tal punto da non farci concentrare su qualcosa per più di una decina di secondi, durata media di un video sui social, ci sorbiamo passivamente tutto ciò che qualcun altro ci mette davanti, Zack è l'emblema di tutti quei bambini che vediamo con un cellulare davanti per non farli piangere (nel suo caso di non mangiarsi qualcuno) che da grandi si perderanno nei meandri di un mondo che non sanno come gestire, invischiandosi in sfide che spesso risultano mortali per sé o per gli altri.

Questo si piazza senza ombra di dubbio tra i migliori esordi letterari che io abbia mai letto, tra i migliori libri autopubblicati che io abbia mai letto e prego caldamente chiunque di recuperarlo il prima possibile.

lunedì 18 novembre 2024

"Mistborn: la legge delle lande": finalmente sono tornata a casa

Questo libro me lo sono trascinata dietro per mesi. Era un po' il mio elefante nella stanza (il vero elefante è un altro, quando si parla di Sanderson, ma cerco di convincermi che se evito di parlarne il problema sparirà, quindi facciamo finta che la Folgoluce non esista, almeno per ora).

Orsù, dunque, godiamoci il viaggio in questa tetralogia che l'autore stesso, nell'introduzione al romanzo, definisce un "incidente di percorso". Quando io ho degli "incidenti di percorso", normalmente finisco per farmi male. Sanderson scrive una saga "per sbaglio".

Leggere questo libro è stato un po' come tornare a casa dopo un po' di tempo che si è stati via. Alcuni elementi del paesaggio sono cambiate, le persone che conosciamo se ne sono andate e alcune cose sono cambiate.

Da una parte l'ho trovato un libro scorrevole (dal caro buon vecchio Brandon non mi aspettavo niente di meno), con alcune migliorie che sono state adottate dal punto di vista stilistico (tipo eliminare l'imprecazione "bloody hell", dal momento che un concetto di "hell" vero e proprio in questo universo narrativo non esiste), i soliti personaggi ben costruiti (per una volta faccio fatica a spiegare chi preferisco di più tra Wax e Wayne, entrambi hanno una chimica pazzesca che solo degli amici di vecchissima data che si sono salvati la vita a vicenda un numero incalcolabile di volte possono avere) e un sistema magico che viene approfondito ulteriormente. Ho amato come in ogni libro viene approfondito un aspetto diverso dei poteri magici di questo pianeta (in particolare qui vengono inseriti i twinborn, che in italiano mi pare che siano stati tradotti come duomanti, persone dotate sia di poteri allomantici che feruchemici), anche se ci sono numerose domande che non vengono approfondite, almeno per ora: per questo non vedo l'ora di leggere i seguiti per vedere come si evolverà la faccenda. Forse Sanderson si è voluto complicare la vita da solo, però il bello delle arti metalliche è che lasciano libero spazio a qualsiasi tipo di approfondimento, quindi sono curiosa di vedere cosa si è inventato nei prossimi romanzi.

Per una questione di pignoleria personale avrei voluto leggere un libro più lungo, invece "la legge delle lande" (non ho capito perché sia stato tradotto in questo modo, dato che il titolo letteralmente significa "la lega della legge", o "la legge della lega" se si vuole ripiegare per un titolo che abbia grammaticalmente senso, che avrebbe anche mantenuto un riferimento alle leghe metalliche, utilissime per gli allomanti, ma va bene comunque) è un romanzo molto breve, intorno alle trecento pagine, forse troppo breve, per cui ho percepito un senso di fretta che nei romanzi precedenti non c'era. Che poi per carità, quando si parla di Sanderson io procedo coi paraocchi, cerco di non vedere gli aspetti negativi della vicenda, però ho percepito questo primo romanzo come un esercizio di stile, non come un'introduzione a una nuova saga com'era stato per la prima trilogia. Anche il villain mi ha convinta fino a un certo punto: essendo la trama a mio parere un po' troppo debole, di riflesso lo è anche il cattivo, Miles. È come se gli eventi succedessero tutti di fretta per arrivare allo scontro con Miles, che ovviamente doveva soccombere, perché questa è la "Wax and Wayne saga" e i due protagonisti non possono morire nel primo libro se danno il titolo all'intera tetralogia, per questo leggere i suoi pov è stato un po' faticoso.

Come ultima stoccata avevo preparato una mia delusione riguardo il "Campione delle Ere", ma l'epilogo lascia molto ben sperare di ricevere qualche risposta (il mio patatone è tornatoooo).

Quindi, pur con qualche sbavatura, questo rimane un ottimo romanzo e non vedo l'ora di leggere i seguiti-

mercoledì 13 novembre 2024

"The spirits", Adele Longo

 

Prima di cominciare, premetto doverosamente che devo ringraziare l'autrice per avermi fornito una copia digitale del suo libro perché potessi recensirlo. Grazie, grazie e ancora grazie.

Detto ciò, partiamo alla scoperta di "The spirits". Sarà una recensione molto breve perché come al solito vi risparmio la trama e altri fegatelli che potete andare a trovarvi su internet in pochi secondi (oltre al fatto che il libro è davvero molto corto quindi per evitare di fare spoiler mi devo tenere il più vaga possibile), però ci tenevo comunque a dire due parole.

Il libro è un romanzo breve, molto breve, che segue le vicende di Nair, una ragazza apparentemente normale che in realtà nasconde un segreto che verrà svelato e approfondito all'interno del libro. La trama forse non è delle più originali, l'autrice stessa afferma di aver attinto a piene mani dalla saga di Percy Jackson e persino io che di quell'universo narrativo conosco pochissimo, ho notato molte similitudini (non interpretate male queste parole, non è scopiazzato pari pari, ma comunque le ambientazioni ricordano molto quella saga, quindi se siete dei fan di PJO e siete nel target giusto questo libro potrebbe fare per voi). Nel tempo, le vicende di Nair si intrecciano a quelle di altri protagonisti dai poteri altrettanto strani, una combriccola che deve proteggere il loro mondo.

Io probabilmente ero un po' fuori target per la lettura di questo romanzo, ma comunque mi sento di consigliarlo a un pubblico di adolescenti: la narrazione in prima persona, i poteri magici dei vari personaggi, le descrizioni vivide, l'avventura in generale che si viene a sviluppare e alcuni espedienti narrativi rendono la lettura piacevole. Per un mio gusto personale avrei preferito un'introduzione un po' più lunga per spiegare meglio il contesto, ed evitare il senso di fretta che ho percepito per introdurre al più presto il tema principale. Sempre all'inizio ho trovato uno stile un po' ferroso e la rottura della quarta parete non mi ha fatta impazzire, ma c'è un sostanziale miglioramento nella seconda parte.

Come vi avevo promesso la recensione finisce qui, io mi taccio qui, consigliandovi caldamente la lettura.

domenica 10 novembre 2024

"Il re schiavo", Josiah Bancroft


𝔏𝔞 𝔗𝔬𝔯𝔯𝔢 𝔰𝔬𝔳𝔯𝔞𝔰𝔠𝔯𝔦𝔳𝔢𝔳𝔞 𝔩𝔢 𝔬𝔰𝔰𝔢𝔰𝔰𝔦𝔬𝔫𝔦 𝔢 𝔩𝔢 𝔟𝔯𝔞𝔪𝔢 𝔡𝔢𝔤𝔩𝔦 𝔲𝔬𝔪𝔦𝔫𝔦 𝔢 𝔡𝔢𝔩𝔩𝔢 𝔡𝔬𝔫𝔫𝔢 𝔠𝔬𝔫 𝔲𝔫'𝔦𝔫𝔡𝔦𝔣𝔣𝔢𝔯𝔢𝔫𝔷𝔞 𝔠𝔬𝔰ì 𝔦𝔫𝔱𝔢𝔫𝔰𝔞 𝔡𝔞 𝔰𝔢𝔪𝔟𝔯𝔞𝔯𝔢 𝔡𝔢𝔩𝔦𝔟𝔢𝔯𝔞𝔱𝔞 


Dopo la breve parentesi di "the arm of the sphinx" che ho letto in inglese, ho ripreso la lettura di questa saga in italiano.

E rinnovo il mio quesito che avevo posto nella recensione al primo volume, l'ascesa di Senlin: com'è possibile che non si parli di questa saga? Com'è possibile che la conosciamo in quattro gatti? Perché nessuno la legge?

Questa è una saga profonda, sorprendente, con uno stile delicato e dei personaggi pazzeschi. Non so nemmeno io che parole utilizzare per convincervi che questo libro vale la pena di essere letto. Perché questo libro vale la pena di essere letto.

Avvertenze varie: nella recensione ci saranno degli spoiler e il libro in sé tratta tematiche che sono belle toste come la schiavitù (in varie forme), matrimoni forzati, minacce di morte, tentate violenze sessuali. Quindi vale sì l'invito molto caloroso a leggerlo, ma mi rendo conto che non è adatto alle menti più vulnerabili.

Ora ciancio alle bande. Se siete sensibili agli spoiler ci ribecchiamo alla prossima recensione, per tutti gli altri, cominciamo.

Il libro comincia a Pelphia, uno dei (credo) regni centrali della Torre. Senlin è un fuggitivo, sotto il falso nome di Tom del Fango, e cerca di mimetizzarsi tra la folla usando un doppio falso nome. Deve fare la spia per conto della Sfinge, che lo tiene sotto scacco con la promessa di rivelargli dove si trova sua moglie se starà al suo gioco finché ne avrà voglia. Grazie alla Sfinge, le notizie riguardanti Marya sono sempre più solide e concrete, ma il fatto di non poterla contattare nonostante sia a portata di mano è dura per Senlin. Queste situazioni drammatiche in cui gli viene dato un ultimatum riportano alla luce il vecchio Thomas, che prende le decisioni impulsive senza pensare, e questa volta si vede costretto a lasciare indietro anche Edith, che nel corso delle settimane è diventata la sua bussola morale, quindi per lui è ancora peggio.

Anche perché, lasciato libero di agire, Senlin si comporta come un bambino capriccioso: la ragione e le sue esperienze pregresse gli suggeriscono di agire in un determinato modo, ma è un uomo anche lui ed è disperato: ha Marya a portata di mano, dopo mesi che la sta cercando, perché non dovrebbe rischiare tutto quello che ha costruito nel tempo per avvicinarla? Coglie tutte le occasioni che gli si parano davanti convinto di star facendo la cosa giusta e il fatto che non ci sia nessuno a mente fredda (l'assenza di Edith mi è pesata particolarmente, è uno dei miei personaggi preferiti e la sua chimica con Senlin è stupenda) a dargli consigli e a rimetterlo sulla retta via è stato faticoso. Ma, di nuovo, Senlin è umano, è sfatto dalla vita che ha condotto nell'ultimo periodo, lui nasce come preside di un piccolo paesino di mare e si è ritrovato a fare il pirata, è comprensibile e giustificabile. Magari dopo un po' inizia ad essere ripetitivo ma quantomeno è realistico.

Resta il fatto che Senlin sia un sottone e non riesce a farsi i fatti suoi per più di trenta secondi di fila, quindi in barba a ogni cautela riesce a incontrare Marya. E qui arriviamo a una scena che mi ha spezzato il cuore, perché Marya tenta in ogni modo di allontanarlo dicendo di essere felice con la sua nuova vita e cercando di spingere Thomas tra le braccia di Edith. Ma è davvero così o sta cercando di proteggere qualcuno dalle ire del suo nuovo marito? Per quanto ami Edith con tutto il cuore (come ho già avuto modo di dire in più occasioni), non posso ignorare la chimica che c'era tra Marya e Thomas nei brevi flashback del primo libro. Lui le fa quella che credo sia una delle dichiarazioni d'amore più belle che mi sia capitato di leggere, degne di un romanzo vittoriano, e io mi sono rifiutata di credere, dal primo secondo in cui ho visto Marya, di credere che lei pensasse davvero quello che ha detto. E capisco che la Torre ti cambia, che finisci per non essere più la stessa persona che eri prima di entrarci, è anche questo il punto della storia, lo so io, lo sapeva Thomas nel momento in cui ha cominciato a scalare la Torre e lo sa chiunque. Ma per una volta voglio illudermi che ci sia un lieto fine che non preveda un disastro totale. E questo bambini è quello che si ottiene ostinandosi a voler leggere dei mappazzoni fantasy che ti obbligano a mettere in dubbio la tua morale e in cui sai che andrà tutto inesorabilmente a rotoli. O guardi il lato positivo o impazzisci, o magari entrambi. Però mappazzoni fantasy che ti obbligano a mettere in dubbio la tua morale e in cui sai che andrà tutto inesorabilmente a rotoli sono belli. Io li amo e li cerco con un'ossessività che mette in dubbio la mia sanità mentale. Tutto ciò per dire che per una volta avrei preferito leggere un libro in cui la storia d'amore finiva bene per i due protagonisti, in un fantasy. Sono molto combattuta su questa cosa ma mi fido abbastanza dell'autore da sapere che prenderà la decisione giusta, qualsiasi essa sia, e non manderà in vacca una saga praticamente perfetta proprio sul finale. Anche perché c'è lo spettro di una minaccia che pende su Senlin, una minaccia che io non posso rivelarvi ma che mi ha messo ansia e speranza, nella sua semplicità. Voi non potete capire quanto io sia stata allo stesso tempo presa bene e angosciata da quel colpo di scena. Come dicevo prima, Senlin adesso è solo: non ha più nessuno, è separato dalla sua ciurma, mezza torre lo cerca perché ha derubato più o meno chiunque, quindi di nuovo si ritrova davanti al dilemma: cambia o soccombi. Le peripezie lo portano a unirsi al gruppo degli Sparvieri, gli schiavi che viaggiano attraverso la Torre passando per i corridoi tra i regni circolari e il muro esterno. Ci erano già stati annunciati già nel primo libro ma la loro presenza non era mai stata approfondita più di tanto. E la struttura di questo libro, ora che Tom è solo e deve di nuovo crearsi una cerchia di persone di cui fidarsi, mi ha ricordato quella del primo libro e mi ha reso la lettura più godibile rispetto al secondo.

Vengono approfonditi anche i rapporti tra altri personaggi, in particolare viene ampliato quello di Voleta, che stringe amicizia con Byron, “maggiordomo” con le sembianze di cervo della Sfinge. Lei viene inserita nella società di Pelphia per fare la spia per conto di Senlin, anche se ormai il piano è saltato, e lì ha modo di prendere altre bastonate dalla vita, come se non fossero bastate quelle che aveva preso fino a quel punto. Ci si doveva mettere dentro anche la tentata violenza sessuale e il tentato omicidio alla lista dei traumi.

E poi c'è lei. LEI. La mia dea, la mia anima gemella, mia moglie, mia madre, mia zia, l'unica, la sola, l'inimitabile EDITH WINTERS. Lei è il mio personaggio preferito a pari merito con Senlin. Anche lei è stata bastonata dalla vita e anche nel suo caso le bastonate ricevute non sono mai abbastanza. Quando credeva di aver sviluppato una sorta di stabilità nella Torre, arriva una bastonata secca tra capo e collo. Quando Senlin aveva dichiarato il suo affetto (magari non era amore, il suo cuore appartiene a Marya e non lo darà via così facilmente, ma comunque c'era tenerezza tra loro due) Marya ritorna in scena, una figlioletta al seguito e con tutta l'intenzione di scappare dal duca che si è trovata costretta a sposare, forte dei sentimenti che prova ancora per il suo vero marito. Ma Edith ha l'enorme dignità di aiutarla nonostante i sentimenti che prova per Thomas, o forse proprio per quello.

Il finale è un trip mentale, tra il risveglio di Voleta dal coma (nota frivola a margine, quanto sono carine Iren e Ann? Io sono innamoratissima di loro), Senlin che sembra apparentemente tornare da Marat con la coda tra le gambe (palesemente un modo per sopravvivere tra gli Sparvieri e alla fine rovesciare la gerarchia della Torre, non una reale fede nei confronti di una persona che l'ha quasi accoppato) e la tenerezza della ciurma di Edith che deve abituarsi alla presenza di Marya e della piccola Olivet.

Non vedo l'ora di leggere l'ultimo libro della saga, anche se so che poi mi sentirò un po' più vuota quando l'avrò finita.

𝕷𝖔 𝖈𝖔𝖓𝖋𝖊𝖘𝖘𝖔, 𝖆 𝖛𝖔𝖑𝖙𝖊 𝖒𝖎 𝖒𝖆𝖓𝖈𝖆 𝖖𝖚𝖊𝖑 𝖘𝖊𝖓𝖘𝖔 𝖉𝖎 𝖘𝖎𝖈𝖚𝖗𝖊𝖟𝖟𝖆, 𝖕𝖊𝖗 𝖖𝖚𝖆𝖓𝖙𝖔 𝖋𝖆𝖑𝖘𝖔 𝖋𝖔𝖘𝖘𝖊. 𝕸𝖆 𝖘𝖔 𝖈𝖍𝖊 è 𝖘𝖙𝖆𝖙𝖆 𝖑𝖆 𝖒𝖎𝖆 𝖆𝖗𝖗𝖔𝖌𝖆𝖓𝖟𝖆 𝖉𝖆 𝖊𝖗𝖚𝖉𝖎𝖙𝖔 𝖆 𝖕𝖔𝖗𝖙𝖆𝖗𝖒𝖎 𝖖𝖚𝖎. 𝕸𝖎 𝖘𝖊𝖓𝖙𝖔 𝖈𝖔𝖒𝖊 𝖚𝖓𝖆 𝖋𝖔𝖗𝖒𝖎𝖈𝖆 𝖆𝖙𝖙𝖗𝖆𝖙𝖙𝖆 𝖆𝖑𝖑𝖆 𝖕𝖎𝖆𝖓𝖙𝖆 𝖈𝖆𝖗𝖓𝖎𝖛𝖔𝖗𝖆 𝖉𝖆𝖑 𝖕𝖗𝖔𝖋𝖚𝖒𝖔 𝖉𝖊𝖑 𝖒𝖎𝖊𝖑𝖊. 𝕷𝖆 𝕿𝖔𝖗𝖗𝖊 è 𝖚𝖓𝖆 𝖉𝖔𝖑𝖈𝖊 𝖙𝖗𝖆𝖕𝖕𝖔𝖑𝖆.

mercoledì 6 novembre 2024

"Trilogia del Nerva", Charlotte Julie Bright

 

Questo libro lo volevo leggere da un sacco di mesi. Avevo iniziato a spiluccarlo quando veniva pubblicato online e quando era stata annunciata l’uscita presso un’importante casa editrice l’avevo tenuto d’occhio. Finalmente sono stati annunciati gli sconti per le edizioni digitali e ne ho subito approfittato.
Nonostante la copertina fosse poco accattivante e spiegasse poco di quello che si trovasse all’interno, le scelte che ho approvato sono l’idea di pubblicare i tre libri in un volume unico (nel cartaceo forse è un’idea poco pratica, ma in digitale funziona bene soprattutto perché sarebbe stata dura aspettare per l’uscita del volume successivo) e il sistema magico sicuramente innovativo, che sfrutta l’astrofisica e i fluidi.
Onestamente non saprei valutare al meglio la parte fantastica: a me è sembrata buona, ho percepito lo sforzo di impostare un sistema nuovo rispetto a quello terrestre (dialetti nuovi, cibi nuovi eccetera), però mi rimetto ai più esperti del settore per sapere se effettivamente è così o se sono io inesperta che di fantascienza non capisco niente. Anche la parte scientifica è gestita a meraviglia (grazie anche alla preparazione tecnica dell’autrice, laureata in ingegneria aerospaziale), quindi il worldbuilding risulta solido, coerente e plausibile.
Lo stile è la parte che mi ha lasciata più perplessa. L’ho percepito piuttosto “freddo”, zeppo di frasi stereotipate tipiche degli YA. Dalla protagonista testarda, col potere più figo di tutti, che non accetta gli ordini dai suoi superiori anche se questi ordini servirebbero a salvarle la vita, al protagonista giovane e belloccio superiore alla protagonista femminile, per cui deve farle anche un po’ da mentore nonostante lei sia testarda e per niente disposta a sottomettersi, fino ad arrivare alla tensione sessuale presente già a pagina 61 su 800 e passa. No, amici da casa, non sto dicendo che in un fantasy romance la gente non possa essere innamorata, però ricordiamoci che questo dovrebbe essere un fantasy prima che un romance, quindi preferirei che il focus fosse meno “ti guardo le labbra con desiderio ma ti rispondo a tono perché sono una donna forte e testarda imprigionata in un palazzo dorato contro la sua volontà perché il suo posto è in mezzo al campo di battaglia a menare la gente”. Spero di aver espresso bene il concetto. Ho trovato alcuni dialoghi piuttosto legnosi, lo stile funziona sicuramente meglio sulle descrizioni (a parte qualche scivolone, come accennavo già prima). Un'altra cosa che avrei preferito che fosse spiegata meglio sono i livelli dell'Accademia. Da quello che ho capito io è una sorta di accademia militare che per certi versi mi ha ricordato Hogwarts (e certe dinamiche tra alcuni personaggi hanno contribuito a confermare i miei sospetti), bisogna sostenere un esame per accedere e si vieni inseriti nel "primo livello", per poi andare a scalare fino ad arrivare all'ottavo e diventare una sorta di tirocinante. Il problema è che l'inizio del libro è un po' affrettato e non ti viene spiegato perché la gente si iscrive a questa accademia (o almeno io non ho capito perché questa accademia sia così importante) o perché nessuno si faccia due domande sul perché Anna venga inserita subito al quinto livello. Tutti la conoscono per essere la pronipote del preside, quindi mi chiedo perché nessuno si faccia due domande o protesti per questo favoritismo.
Il secondo volume si riprende un po' di più, dividendo la narrazione tra quello che succede ad Anna e a Quintilla, prigioniera all'Accademia, ormai ostaggio dei goriani. Quintilla personalmente è stata da subito la mia preferita, per la sua personalità esuberante e il suo voler essere genuinamente amica di Anna nonostante la sua musonaggine e la sua reticenza a rispondere alle domande sul suo passato.
Ho trovato che venga lasciato un po’ troppo spazio alla ship e un po’ meno a tutto il resto, quindi certe tematiche pur importanti avevano un ruolo marginale all’interno della storia.
In sintesi, avrei preferito che le premesse fossero introdotte con un po' più di calma, magari anche dividendo il libro in tre volumi singoli così da non dover rientrare in un numero preciso di pagine e non risolvere tutte le questioni di fretta. Rimane comunque un buon prodotto per chi vuole approcciarsi al genere della fantascienza