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domenica 6 aprile 2025

La via dei re verso la depressione.

 

Che parto. Che. Parto.

Questo è stato indubbiamente uno dei libri più pesanti e complessi (dal punto di vista strutturale più che stilistico) che mi sia capitato di leggere in vita mia. Ci ho messo mesi a finirlo, non perché fosse brutto ma perché Sanderson ci mette il suo tempo per descrivere al lettore ogni minimo dettaglio del mondo in cui ha ambientato la storia, ed essendo questo il primo di cinque (per ora) volumi le basi da impostare erano parecchie.

Ormai quando recensisco un libro di Sanderson ho paura di risultare quasi ripetitiva, quindi non attaccherò il solito pippone sui personaggi, sul worldbuilding e sul sistema magico (anche perché col fatto che questo fosse solo il primo romanzo della saga non sono sicura di aver capito tutto perfettamente e ho come il sospetto che Sanderson abbia ancora molte cose da spiegarmi). Per vedere quanto amo questi elementi dei suoi romanzi potete leggervi le altre recensioni che ho scritto e che trovate nella pagina dedicata.

L'unica cosa che mi sento di dire è che mi aspettavo peggio (giù i forconi, mo' mi spiego meglio). Questo è un libro di più di 1100 pagine. Di cui mi avevano parlato come di un libro "devastante" che mi avrebbe "fatta piangere anche l'acqua del battesimo", invece ne sono uscita tutto sommato illesa. O meglio, ci sono dei micro colpi di scena per cui ti ritrovi a voler mettere le mani addosso a qualcuno (possibilmente a quella merda umana di Amram), ma la lettura da quel punto di vista procede abbastanza tranquilla. Un po' pesantina perché stiamo pur sempre parlando di un libro di più di 1100 pagine, ma comunque tranquilla per quanto riguarda la trama. Da quel punto di vista, per quanto mi riguarda, Mistborn è stato più tosto (mamma mia che danni morali che ho subito leggendo quella saga...).

Ed è proprio questo a spaventarmi. Sanderson mi ha abituata al metodo "bastone e carota". Per adesso, nel mare di depressione che è "la via dei re", tutto sommato mi sono state date tante piccole carotine, dei motivi per cui essere tutto sommato felici. Certo, ci sono state alcune bastonate, ma niente di irreparabile. Io aspetto quella bastonata per cui inizierò a rimpiangere malamente di aver iniziato a leggere questa saga.

Rimane il fatto che Sanderson sa bilanciare molto bene la narrazione e se in alcuni tratti sembra rallentare è perché si ta preparando il caricone di colpi di scena. Quindi godetevi i momenti di calma perché vuol dire che la tempesta si sta ammassando all'orizzonte, anche se voi non la vedete.

Il mio pov preferito per adesso è quello di Kaladin: ci sono più cose da raccontare, la trama è più accattivante e i flashback distruggono l'anima. Ma devo dire che sul finale anche Shallan si difende bene. Essendo quella più distante dal fulcro degli avvenimenti, la sua storia sembra molto lenta, a tratti quasi noiosa, ma poi sul finale si viene colpiti da almeno due o tre colpi di scena di fila che dànno parecchio da pensare.

Per adesso comunque rimango con la curiosità di andare avanti a leggere gli archivi della folgoluce (Giorgi, mannaggia a te, un lavoro dovevi fare e l'hai fatto male, ma non aprirò la parentesi "traduzione" adesso perché direi cose poco carine), ma credo proprio che mi prenderò una pausa da Sanderson, se non per finire "the shadows of self", per rimuginare meglio su quello che ho letto.

sabato 5 aprile 2025

Libro trash di aprile: "Beyond the surface" di Claire Dee

 

Questa recensione doveva uscire a marzo, ma il prestito della biblioteca per questo libro è scaduto prima che potessi finirlo quindi ho deciso di pubblicarla comunque con un po’ di ritardo considerando questo romanzo quello che effettivamente è: un esperimento fallito.

Io lo so. Vi vedo che mentre leggete questa recensione pensate "i problemi che stai elencando non sono veri problemi, sono solo gli archetipi del genere", al che io vi rispondo con un laconico, secco, per direttissima:

Non nel senso che non accetto la nostra divergenza di opinioni, io sono convinta che se si scava in fondo il romance possa avere delle ottime sfaccettature, ma non è questo il caso.

Perché oggi parliamo di "Beyond the surface" di Clare Dee. A onor del vero le premesse di questo libro ci sono. C'è un accenno di worldbuilding e persino la protagonista ha una parvenza di profondità psicologica (disturbi mentali e quant'altro). Il problema è tutto il resto. Il problema è che, nel momento in cui il worldbuilding potrebbe avere ottime ripercussioni sulla trama, il tutto passa in secondo piano in nome della storia d'amore. E no, amici da casa, non dico questo perché sono contraria all'amore e tutto il resto, ma perché è poco realistico creare un contesto per la storia per poi lasciare che tutto vada in caciara, descrivendo soltanto erezioni, addominali scolpiti, vagine umide e quant'altro.

Ma adesso analizziamo la trama punto per punto: allacciate le cinture e preparate i pop corn, perché questo libro è lungo.

Il libro parte con un ricevimento. La protagonista è Megan Tanner, figlia primogenita di una delle famiglie più ricche di Wealthill. Le gerarchie sociali di questa città inventata sono a compartimenti stagni, quindi chi vive nelle periferie povere non può mischiarsi a chi è più ricca. Al ricevimento (onestamente non ho capito l'occasione di questo ricevimento, ma non importa) succedono due cose: la prima è che conosciamo quello che sarà l'interesse amoroso di Megan, Jackson, un bonazzo altissimo, purissimo e levissimo, che piomba in camera da letto della ragazza (mezza nuda) probabilmente per nascondersi e battibecca con lei sul fatto che lei si è giustamente innervosita per quella visita di uno sconosciuto perché dobbiamo accampare una enemies to lovers basata sul nulla; la seconda è che Megan pizzica la sorellina a infrattarsi con un cameriere (credo?). Megan allora la segue per provare a riprenderla, ma va  sbattere contro un altro cameriere che la afferra al volo per evitare di farla cadere a terra e questo genera l'equivoco della vicenda. Una delle sue "amiche" la becca in una posizione che sembra fin troppo intima con il cameriere e la ricatta, obbligandola a fare volontariato al suo posto. Il padre di Megan coglie la palla al balzo per mettere in buona luce il nome della famiglia e accetta di buon grado di spedire la figlia (che già soffre di turbe mentali, quali anoressia e stress post traumatico dopo la morte della madre) in un orfanotrofio nel quartiere povero e malfamato del paese. Lì, Megan ribecca Jackson, che tra le altre cose lavora con i bambini per arrotondare un po' dato che è povero come lammerda. Megan, che è simpatica come un tappo nel culo, all'inizio fa la schizzinosa, arrivando ad avere quasi un attacco di panico quando dei bambini le sporcano i vestiti costosi con le tempere, ma pian piano si addolcisce, arrivando a fare amicizia con alcuni di loro. Ovviamente con Jackson le cose vanno male: i due non hanno un vero motivo per odiarsi, ma battibeccano per il puro gusto di farlo, perché se questi si stanno già spogliando con gli occhi a pagina uno e non sai inventarti un motivo valido per tenere la tensione alta fai una finta enemies to lovers e te ne sei lavata le mani. Easy peasy.

Per movimentare un po' la questione, a un certo punto Megan viene rapita dal suo bodyguard e un altro tipo. Carramba che sorpresa, i due la portano nel quartiere povero e si mettono a battibeccare sotto casa di Jackson (qualcuno prima o poi mi dovrà spiegare perché tutti i bonazzi dei romance si chiamano Nathan o Jackson, è allarmante la frequenza con cui questi due nomi ricorrono), che afferra una pistola e con la precisione di un cecchino e la potenza di un soldato armato di ak-47 riesce a centrare il bodyguard, mettendo in fuga l'altro tizio che aveva rapito la ragazza. Lei è un po' scossa, ma le basta vedere i bicipiti muscolosi di lui e la tensione sparisce. Quali ripercussioni avrà un rapimento e aver visto le cervella di una delle persone a lei più vicine sulla psiche già scossa di una ragazzina del liceo? 
Esatto! Già la mattina dopo, dopo aver dormito sul divano di Jackson, aver giocato un po' col suo gatto e aver sbavato dietro ai suoi muscoli guizzanti tutto è dimenticato, Megan si fa venire a prendere dal suo fidanzato, racconta una palla sul perché si trovasse a casa di Jackson e tanti saluti: una settimana dopo è già impegnata a organizzare feste e civettare con le sue amiche. Perché sì, nel frattempo Megan è fidanzata con un rampollo ricchissimo purissimo e levissimo quanto lei.

In tutto ciò siamo solo al 20% circa e la storia sta diventando mortalmente noiosa, sempre posto che mi sia mai sembrata interessante.

A un certo punto, la tipa che sta ricattando Magan, Caitlyn o qualcosa del genere, le impone di farsi un tatuaggio dopo averla pizzicata a vomitare il cibo che aveva appena mangiato (manco la descrizione à lunghissima e pomposa, manco a dirlo. E così tutta la combriccola di personagge dimenticabili si reca dal tatuatore e Megan si fa tatuare. Ovviamente il tatuatore è... 


Jackson. La suspence è inutile.

E qui succede una cosa che in tutta onestà non ho capito. Megan ha quasi un attacco di panico quando lui inizia a lavorare al tatuaggio, lui smette subito e per calmarla le infila due dita nel posto che sapete voi. Così, de botto... senza senso. E anche lì, da come descrive la scena all'inizio sembra che il tatuaggio non se lo sia fatto, ma dopo invece pare di sì. Io questo libro non l'ho capito.

E qui finisce il pezzo che ho letto. Manco sono arrivata a metà. E sinceramente la cosa non mi disturba, la trama è inutile, i personaggi sono peggio e io ero stanca di leggere questo libro.

Grazie per l'attenzione, sono aperta come sempre a opinioni, dialoghi, incoraggiamenti, insulti e risate. CiàCià.

lunedì 24 marzo 2025

"Empire of Silence", Christopher Ruocchio

 

Prendete Game of Thrones, metteteci una spruzzata di Dune e, perché no, anche di storia romana, e avete ottenuto questo libro.

Ammetto che avevo paura a leggere questo libro perché io e la fantascienza non andiamo molto d'accordo, avevo provato a più riprese ad approcciarmi al genere ma avevo perso interesse poco dopo aver iniziato il libro. E il fatto che avessi iniziato questo libro in inglese mi spaventava ancora di più. Ma in questo caso ho trovato un romanzo con cui sono entrata in sintonia fin dalle prime pagine. Okay, magari non dovete aspettarvi la cosa più originale del mondo, ma le mazzate che arrivano sono secche secche.

Protagonista del libro è Hadrian Marlowe, figlio di un nobile di Delos e futuro erede al suo trono che dalla vita non ha ricevuto altro che mazzate. Suo padre è freddo con lui, sua madre praticamente è come se non esistesse, sente tanto il confronto con suo fratello Crispin, che sembra essere migliore di lui in tutto, dall'aspetto fisico, alla forza e alle tattiche militari. Hadrian sa di non essere adatto a governare, vorrebbe fare l'erudito, ma quell'ansia da prestazione che lo porta sempre al confronto col fratello lo porta spesso a ripetersi: non mi importa se quella data cosa non tocca a me o non mi interessa, farò di tutto per impegnarmi a ottenerla purché non l'abbia Crispin. Le cose cambiano quando, dopo un pestaggio, il padre di Hadrian mette la parola fine a tutte le vergogne che Hadrian con la sua sola esistenza ha attirato su casa Marlowe, decidendo di spedirlo lontano dal pianeta d'origine per fargli seguire un culto religioso. Il racconto da lì in avanti si fa frammentato, il lettore vede attraverso gli occhi di Hadrian quello che succede, la narrazione è parziale (il romanzo è scritto in prima persona e questo tratto stilistico è gestito benissimo), la sofferenza che prova il protagonista è plausibile. Personalmente il momento in cui Hadrian da nobile diventa un accattone, un ladro, è la vera svolta: la sua vera personalità inizia a venire fuori, il suo carisma e il suo carattere sembrano più veri, più genuini, è come se fino ad allora non avesse vissuto davvero e solo in quel momento la sua essenza viene fuori. Suo padre non incombe più su di lui con la sua personalità ingombrante, non sente più il peso degli obblighi che ha in quanto erede al trono. La cosa che sicuramente ho apprezzato di più (almeno una delle cose che mi ha fatto più piacere leggere) è stata la cultura: la vita sulla Terra è ormai cosa superata, ma comunque la conquista dello spazio è un evento relativamente recente, da quello che ho capito; la cultura terrestre non è andata perduta del tutto (i nobili più istruiti, per esempio, ricordano ancora Omero, Virgilio e compagni e sanno parlare lingue che loro considerano morte, come l'inglese) ma comunque si è evoluta in maniera armoniosa e coerente. La parte centrale viene parzialmente dedicata anche a un approfondimento linguistico, e io sono andata in brodo di giuggiole: adoro sempre quando nei libri, soprattutto fantasy, l'autore si prende la briga di spiegarti come funziona il sistema linguistico per rendere ancora più realistico il mondo che viene creato. Di solito non amo i racconti in prima persona, ma in questo caso la trovo una scelta azzeccata, se posso azzardare un'ipotesi direi che è l'unica scelta possibile: scrivere una storia in prima persona è inutile se non si sente la "voce" del personaggio che te la sta raccontando, ma in questo caso la voce del protagonista si sente forte e chiara. Hadrian ha i suoi traumi, ha le sue vicissitudini, ha i suoi amori e i suoi amici. È un personaggio a tutto tondo, uno con cui riesci a empatizzare nonostante alcune decisioni controverse, perché se ci si ferma a riflettere si capisce che chiunque, pressato dalle circostanti, avrebbe agito nello stesso modo.

Un difetto che mi permetto di notare è che l'ho trovato un pelino troppo prolisso nelle descrizioni delle azioni. Alla lunga stufa che si continui a "perdere tempo" descrivendo azioni inutili allo sviluppo della scena, come il sorriso di un personaggio, il fatto che avesse gli occhi di questo o quest'altro colore, il fatto che inarchi le sopracciglia una riga sì e una no. Ho trovato in generale lo stile fin troppo didascalico, poteva essere notevolmente asciugato e avrebbe funzionato comunque (col pregio che la storia sarebbe stata più corta, invece delle settecento e passa pagine che dura questo sequestro di persona). La parte centrale, infatti, quando Had combatte nel Colosseo sotto copertura e quant'altro, è stata parecchio difficile da digerire e ha rallentato considerevolmente la lettura, che fino a quel momento mi era risultata molto gradevole e scorrevole. Questa è l'unica pecca che rallenta un po' lo stile altrimenti buono.

Il finale è stata una batosta emotiva clamorosa: Hadrian rompe la quarta parete per rivolgersi direttamente al Lettore (scritto proprio con la maiuscola, the Reader) per ringraziarlo del tempo che ha dedicato alla sua storia. Da lì in avanti il lettore ha due scelte: può dichiarare concluso il suo rapporto con la storia o può seguire Hadrian nel suo viaggio che lui ha comunque intenzione di intraprendere, anche a costo di farlo da solo.

Questo è il memoir di Hadrian (il gioco parole con il libro di Marguerite Yourcenar non è voluto, giuro, anche se col senno di poi non è un paragone così sbagliato), un racconto in cui prova a convincere un interlocutore che rimane nell'ombra fino alla fine (ma io ho interpretato i vari "tu" che vengono ripetuti nel corso del racconto come "chiunque sia disposto ad ascoltarlo") che la sua vita è stata una merda. Ma è davvero questa la verità oggettiva delle cose?

venerdì 28 febbraio 2025

"The troop" di Nick Cutter.

 

Questo libro mi ha sorpresa.

Nella sua semplicità disarmante, è riuscito a tenermi incollata alle pagine, tant'è che l'ho letto in pochissimi giorni.

Febbraio per me è un mese strano. Innanzitutto è corto, quindi i giorni scappano via tra faccende varie senza che ce ne accorgiamo. Poi, per qualche strana congiunzione astrale, tutti gli impegni si concentrano in questo a febbraio, quindi il tempo per leggere è talmente poco che anche quando c'è si è troppo stanchi per concentrarsi.

Però questo "The troop" è stato una bella sorpresa. Non so dire se è stata l'ambientazione (un'isola deserta in cui un gruppo di adolescenti è in campeggio) a me affine, lo stile ottimo, che rende la sfaccettatura dei personaggi e gli elementi ansiogeni dettati dall'elemento horror o l'elemento horror stesso (una specie di tenia gigante che divora dall'interno gli organismi ospitanti, eliminando fisicamente uno a uno tutti gli "abitanti" dell'isola), fatto sta che mi sono trovata parecchio a mio agio con la narrazione, che scorreva via veloce.

La cosa che secondo me funziona meglio è la struttura della storia, divisa in tre parti in base a dei macro argomenti. Nella prima sezione si imposta l'ambientazione isolana, semplice ma solida; nella seconda si approfondisce il personaggio dell'estraneo, un uomo magro, talmente magro che si vedono le ossa, che prega Tim (caposcout dei ragazzi e medico di una piccola città) di curarlo, fino ad arrivare a una sezione in cui pazzia e lucidità si mescolano talmente bene che il lettore non sa più a cosa credere. Non si fida più dei suoi stessi occhi, come se fosse lui stesso a trovarsi su quell'isola insieme ai ragazzi. È un vortice discendente in una spirale di pazzia fatta di sangue, fame e visioni difficili da interpretare.

Senza fare troppi spoiler, il finale l'ho interpretato come la chiusura di un cerchio, che allo stesso tempo costituisce un'apertura verso un ciclo che di questo passo è potenzialmente infinito. L'isola costituisce un richiamo troppo forte per chi ci è stato ed è stato infettato dal "verme", non può starci troppo lontano.

In sintesi sono molto grata di averlo letto, e consiglio a tutti gli amanti del genere di darci una chance.

mercoledì 26 febbraio 2025

"La figlia del drago di ferro": un libro un po' altalenante

Per questo libro provo sensazioni contrastanti. Sicuramente ha degli aspetti positivi, e con questo mi riferisco soprattutto al worldbuilding, un incrocio tra Tolkien e Dickens, ma per la stragrande maggioranza del libro ho avuto la percezione che mancasse qualcosa.

Poi, al 45% circa, ho avuto la folgorazione. Il mio problema con questo libro è dato principalmente dallo stile. Non perché sia brutto, chiariamoci subito: è scritto bene e non mi posso lamentare nemmeno della traduzione (sebbene presenti qualche refuso e non sia d'accordo del tutto con alcune scelte fatte dalla traduttrice come un "her heart went out to them" tradotto all'incirca con "aveva stima di loro"). Quello che non mi è piaciuto del tutto è che l'autore ha lasciato troppo non detto. Soprattutto all'inizio ci sono molti salti temporali che mi hanno confusa e mi hanno lasciata con un senso di smarrimento un po' troppo pesante. Inoltre, credo che siano stati inseriti un po' troppi personaggi secondari che orbitano attorno a Jane troppe specie del folklore inglese e non solo, troppa gente la cui personalità non viene approfondita per ovvie ragioni di spazio. Per il bene dell'approfondimento del mondo distopico in cui ha ambientato la sua storia, ha dovuto sacrificare i personaggi, esattamente come aveva fatto Tolkien, che per troppo amore della filologia ha sacrificato... tutto il resto (ma non aprirò la parentesi adesso perché non voglio farmi linciare dai tolkieniani). La stessa Jane, che dovrebbe essere la protagonista, finisce per diventare una Mary Sue con una caratteristica in croce ma che, essendo l'unico personaggio ricorrente, finisce per spiccare per forza. In particolare, l'insistenza ingiustificata di Rattuncolo nell'infastidire la ragazza, anche in maniera molto pesante, mi ha fatto storcere il naso. E soprattutto ho trovato che il fatto che nessuno degli studenti prendesse mai le sue parti fosse altamente fastidioso. Che i professori additassero lei come la causa di quasi ogni male poteva anche andarmi bene (lei è pur sempre una changeling, quindi ci sta, anche se poi ci arriviamo dopo a questo aspetto) se almeno uno degli studenti avessero preso le sue parti. Il fatto che alcune cose non fossero descritte fa empatizzare poco coi personaggi, le vicende scivolano addosso al lettore che si ritrova a subire passivamente tutto quello che succede e si trova a mio avviso poco coinvolto.

Passando alle cose che mi sono piaciute, dicevo che il WB è ben riuscito, e questa è la mia parte preferita. Ci troviamo a metà tra il mondo reale e uno parallelo in cui le creature del folklore nordico esistono davvero. Siamo, almeno all'inizio, in piena rivoluzione industriale, con una denuncia tutto sommato ben riuscita al lavoro minorile nelle workhouses. I bambini che compaiono qui lavorano in una fabbrica che fa manutenzione ai draghi, macchine portentose, prodigi di tecnologia. La magia, per quanto semplice, è solida e coerente e, anche se ho trovato le scene di sesso in alcuni punti eccessivamente esplicite sono state funzionali alla narrazione. Il rapporto tra Jane e Melanchthon quando c'è è una figata, i due si aiutano a vicenda e il loro è un vero e proprio rapporto simbiotico. Il problema è che non sempre c'è. I personaggi secondari sono impalpabili come carta velina ma, complice un titolo fuorviante, speravo che la presenza del drago sarebbe stata più consistente. Purtroppo non è così, i due sono spesso separati e quando sono insieme lui passa il suo tempo a ignorarla, quindi è stato frustrante leggere della loro "relazione",

Anche la Decima si basava su un concetto tristemente realistico e plausibile, però è stata costruita in maniera un po' troppo frettolosa e realizzata ancora più di fretta. Ho percepito poco le emozioni che si provano durante una vera e propria rivolta, e il fatto che tutto nasca e si chiuda praticamente all'interno dello stesso capitolo o poco più mi ha fatto percepire il tutto come freddo e distaccato.

E capisco l'etichetta weird/steampunk (genere che, ho scoperto, mi piace tantissimo), capisco il voler insistere sull'ambientazione e sulle implicazioni sociali che questa assume nei confronti dei personaggi, ma avrei preferito un guizzo in più, il non detto pesa troppo sulla narrazione. E di base va anche bene lasciare qualcosa all'interpretazione del lettore, purché sia qualcosa, mentre in questo libro sono più le cose che vengono elise rispetto a quelle che vengono raccontate. Ci sono troppi salti temporali che non vengono spiegati e che confondono il lettore, portandolo a estraniarsi rispetto alle vicende che vengono raccontate, invece di immedesimarsi coi personaggi.

In sintesi questo libro supera la sufficienza ma si ferma lì, non osa oltre. Con ogni probabilità leggerò i seguiti, quando saranno editi in Italia, ma sarà una lettura che farò con calma, ridimensionando considerevolmente le mie aspettative a riguardo.

sabato 1 febbraio 2025

"Casa di foglie" Mark Z. Danielewski

 

Johnny Truant lavora nello studio di un tatuatore. È innamorato perso di una stripper che ha come nome d'arte Tamburello e ha un migliore amico, Lude, che vive in un complesso di appartamenti in cui abita anche una ragazza madre e un vecchio che si fa chiamare Zampanò. Nessuno sa quale sia il suo vero nome, ma quando, a ottant'anni suonati, muore, Zampanò lascia in eredità la sua casa fatiscente, al pianterreno, che affaccia sul cortile, e un plico di fogli che, secondo un resoconto che Truant stesso scrive e allega al plico stesso a mo' di introduzione, gli ha causato incubi talmente pesanti che nessun farmaco o altro rimedio può placarli. L'introduzione stessa, lunghissima, che serve da monito al lettore per sapere in che avventura si sta imbarcando (ma che in realtà non fa altro che confonderlo e incuriosirlo ancora di più).

Il romanzo "vero e proprio" comincia in maniera piuttosto confusa, presentandosi come la recensione/commento critico di un film intitolato "the Navidson record". Qui iniziano a sorgere i primi dubbi nel lettore (almeno, io mi sono fatta queste domande, un altro può dirmi che lui ha capito tutto e che sono scema io a farmi certe domande, con libri del genere può essere tutto): il film in questione è un mockumentary? È un documentario vero e proprio? È l'opera di un genio visionario, un regista che ha fatto del minimalismo la sua firma, è lo scherzo di un burlone, oppure quello che leggiamo è la verità? Dopotutto, oltre al testo che stiamo leggendo non ci sono pervenute altre attestazioni di quest'opera (così come dei numeri delle riviste che sono citate nelle note a piè di pagina, per ammissione di Truant,), quindi ogni dubbio è lecito.

Premetto fin d'ora che io di film e della loro costruzione non ne so molto, quindi sentitevi liberi di contraddirmi se leggendo la recensione vi sembrerà che stia sparando un mare di scemenze. Alla fine il confronto è la parte divertente della lettura e del consumo dell'arte in generale, no?

Comunque, il protagonista di "the Navidson record" è tale Will Navidson, che si trasferisce insieme alla famiglia (la moglie Karen, ex modella, e i due figli Chad e Daisy) in una nuova 𝖈𝖆𝖘𝖆 (termine che viene scritto sempre con questo font specifico, quindi chi sono io per non replicare questa scelta?), lontana dalla città, dalla frenesia, dal traffico: una 𝖈𝖆𝖘𝖆 arroccata su una collina in cui i Navidson potranno avere una vita tranquilla e in cui il capofamiglia può condurre l'esperimento di installare delle telecamere sensibili al movimento e riprendere moglie e figli in scene di vita quotidiana (fornisce anche delle cassette e degli obiettivi alla moglie per tenere un diario registrato ogni giorno).

Il primo vero problema sorge nel momento in cui in una nota a margine scritta a macchina da Truant scopriamo che lui ha iniziato a manomettere il libro (e già lui aveva spiegato che raccontare balle gli veniva piuttosto naturale come tattica di rimorchio, anche se si rivelerà spesso inefficace). Quindi il dubbio che ci sia qualcosa che non vada in questo racconto diventa una certezza sempre più solida.

Pian piano, le fondamenta di quella che sembra una perfetta famiglia americana iniziano a scricchiolare, preparandosi a crollare: Will spesso partiva per lunghi viaggi lontano da 𝖈𝖆𝖘𝖆 per lavoro, ma alcune menti maliziose hanno avanzato l'ipotesi che fosse Karen a mettere le corna a lui.

A metà tra "The Blair Witch Project" e "You should have left" (ma meglio) ci sta "the Navidson record", che mostra il lento e inesorabile declino della famiglia Navidson. Le note a margine rendono il libro un articolo vero e proprio: possono non essere lette, almeno quelle in cui vengono specificati gli articoli di giornale da cui sono tratte alcune citazioni, ma altre, quelle aggiunte a macchina dal nostro narratore, che ci prende per mano e ci conduce attraverso l'incubo che ha attraversato anche lui, sono più importanti, per le ragioni che spiegavo prima. L'elemento orrorifico è sottile, non ci sono jumpscare o quant'altro. Ti porta a dubitare della tua stessa sanità mentale. Sei tu ad avere un problema? È la 𝖈𝖆𝖘𝖆 che cambia appena i suoi abitanti abbassano la guardia? È il narratore che è inaffidabile e sta facendo di tutto per non farti capire niente? Tante sono le domande e poche le risposte.

Facciamo la conoscenza del fratello gemello di Will, Tom: i due non si parlano da otto anni, Tom era alcolizzato ma da due anni è sobrio, e quando Will lo chiama perché 𝖈𝖆𝖘𝖆 sua è più grande dentro che fuori di un quarto di pollice, Tom corre in suo aiuto e non esita a fornirgli delle soluzioni pragmatiche a riguardo. Il distacco tra i due è evidente anche per l'autore del saggio/recensione/chiamatelo-come-vi-pare. Will è sempre chiamato per cognome, è il più freddo e distaccato tra i due, Tom è quello gioviale, non è ricco come il fratello ma sta simpatico ai suoi nipoti e pure alla cognata, è rilassato, tranquillo. Persino la moglie di Will ha un doppio standard, chiamando il fratello del marito per nome e il marito stesso con il nomignolo Navy.

Prima dicevo di non saperne molto di cinema, ma la verità è che non ne so molto nemmeno di horror, quindi è possibile che dirò un sacco di scemenze, però uno degli "stereotipi" dell'horror è che i protagonisti, una volta che si sono trasferiti nella 𝖈𝖆𝖘𝖆 o in generale nel setting che poi farà da sfondo alla vicenda, vengono isolati. Qui invece sono costantemente in contatto con persone esterne, Will con suo fratello e un amico di vecchia data, Karen parla anche lei con un'amica, fanno viaggi per andare a incontrare gente che vive lontana. I bambini invece sono quelli che si adattano meglio al cambiamenti della 𝖈𝖆𝖘𝖆 perché, come dice il libro stesso, non conoscono ancora molto bene le regole del mondo.

La narrazione viene sospesa su un colpo di scena (Tom e Will scoprono che lo spazio tra il muro e la libreria a parete di Karen è aumentato: si sente la donna strillare ma non si capisce perché) per fare una lunga, lunghissima digressione sulla figura mitologica di Eco che, da come l'ho capita io, serve per iniziare a introdurre un'angosciante presenza in 𝖈𝖆𝖘𝖆 Navidson, un'entità che ha subito sofferenze nella vita e ora tormenta gli altri da morta. Ma non lo so per certo, al momento l'unica cosa che si è sentita è un ringhio basso che per quanto ne sappiamo potrebbe appartenere al cane di famiglia (anche se gli animali non si avvicinano mai al corridoio che si è aggiunto nel frattempo, mentre la famiglia era in vacanza).

L'innovazione in questo libro, per quanto mi riguarda, non consiste nella trama, che è abbastanza basica e non presenta particolari guizzi, ma nel modo in cui la storia è realizzata. DI libri horror ne ho letti pochi, ammetto la mia parziale ignoranza in questo argomento, ma comunque non capita tutti i giorni di leggere una storia in cui chi la scrive inizia a vaneggiare sempre di più mentre la redige, tanto che inizia a scrivere al contrario, inserendo quadrati scuri, scrivendo in verticale, a spirale e obliquamente, anche una sola parola per pagina. Questo infatti è un romanzo che fa tanto affidamento sulle atmosfere (non sempre riuscendoci, ma questa è la mia opinione personale) e soprattutto sulla percezione che i vari personaggi hanno dell'ambiente circostante. È riuscita molto bene per quanto mi riguarda la struttura di pseudo saggio con cui la storia è stata impostata, anche se spesso le note a margine sono fin troppo invadenti all'interno della narrazione. Ho trovato un po' troppo prolissa la seconda metà, che è un continuo ripetersi delle stesse descrizioni, i personaggi si appiattiscono quasi totalmente in favore delle "sensazioni" e degli esperimenti stilistici e di formato.

Nota di demerito va ovviamente alla traduzione, stiamo pur sempre parlando di un libro che in Italia è edito dal Male Incarnato, quindi calchi e virgole usate a caso qui si sprecano.

In sintesi questo libro sarebbe stato ottimo se fosse stato un poco più breve.

sabato 25 gennaio 2025

Libro trash di gennaio: "Kairos", Mary Bloomwood

 


L'anno nuovo porta consiglio... o forse era la notte a farlo? Sta di fatto che uno dei buoni propositi che ho per quest'anno è di leggere meno libri, ma di qualità più alta (sempre secondo i miei standard), concedendomi un libro brutto al mese. Questa lettura va quindi celebrata in grande stile, come si confà alle occasioni speciali.

Per cui eccoci qui, follettini e follettine, a parlare di "Kairos, l'isola del vento", romanzo d'esordio di Mary Bloomwood che è stato preso da Wattpad e messo su carta senza passare per l'editing. Però questo tipo di libri vende tanto quindi gioco, partita e incontro per Mary.

Questo libro è raccontato in prima persona da due voci: una femminile, Vivienne, e una maschile, Neven. Tutto parte una sera in cui lui è in discoteca coi suoi amici: mentre loro "perdono tempo" in vili attività come rimorchiare (si sa che solitamente in discoteca si va per fare la maglia e sparlare della vicina gattara al piano superiore) lui scatta qualche foto perché è un bravissimo fotografo. E sia lodato il cielo che per una volta un protagonista maschile ha qualche hobby diverso dal citare Jane Austen a sproposito. Un punto per Neven.

A un certo punto, Neven vede una ragazza in mezzo alla folla: una ragazza bellissima. Macchina fotografica alla mano, fa qualche scatto. Flash forward a tre anni dopo. Vivienne si reca in un resort in cerca di ispirazione per un romanzo che sta scrivendo. E qui revoco subito il punto assegnato prima perché lei è la protagonista più basica delle più basiche commedie romantiche americane: una scrittrice in crisi.

Lì vede un cartellone pubblicitario in cui svetta la foto che Neven le aveva fatto anni prima alla festa. E questo è il primo problema, per me: come cavolo si è permesso questo di usare la foto di un'estranea per una pubblicità senza il suo consenso? Com'è possibile che NESSUNO che è NESSUNO nella catena di montaggio di una pubblicità abbia fatto storie perché Neven ha usato la foto di una tizia a caso per una pubblicità? Com'è possibile che Vivienne lasci correre in questo modo sul fatto che la sua immagine è stata sfruttata per fare soldi solo perché il tipo che le ha scattato la foto e l'ha riprodotta in versione gigante è un bonazzo con le fossette sugli addominali (parole non mie, a un certo punto Vivienne dice davvero che si ferma a fissargli le fossette degli addominali, non so cosa siano... o forse sì ma non voglio sapere se ho ragione)?

A essere totalmente onesti, da qui in poi la mia soglia dell'attenzione si è un po' abbassata, perché in tutto ciò siamo al primo capitolo, forse al secondo, e ho già fatto partire un urlo interiore che Albano mi è venuto a fare i complimenti di persona.

Pian piano, ma forse nemmeno troppo, facciamo la conoscenza degli amici di Neven, che oltre a essere un fotografo eccellente e un bonazzo da paura, è anche un animatore turistico. E anche altre cose perché a un certo punto l'autrice ha iniziato a infilare a forza dei pretesti di trama perché se no sto libro durava cento pagine. Forse. Quante volte gli vediamo animare qualsiasi cosa nel villaggio in cui lavora? Mi pare ovvio:


Comunque dicevo che conosciamo gli altri amici dell'allegra combriccola: Cayden/Caiden (credo? Non chiedetemi di ricordarmi tutto con precisione perché sarebbe un'impresa troppo grande per me, ma non dite che non ci ho provato), Gianni Lafontaine, l'eterosessuale più gay di sempre, e Crystal, che la protagonista all'inizio odia perché è bella ma poi si dice che non può essere cattiva con lei solo perché ha un bel faccino. Che di base il ragionamento ha anche senso, capisco cosa voleva dire, però messa com'è stata scritta nel libro mi sembrava quasi che Vivienne stesse dicendo: se fosse stata cessa avrei potuto odiarla ma siccome è bella non posso portarle rancore. Boh.


(Quanto mi era mancato fare le recensioni meme. Grazie Mary per avermene dato la possibilità.)

Comunque a un certo punto si scopre che Vivienne è arrivata all'isola del Vento (che all'inizio io credevo che fosse un nome dato così a caso per attirare i turisti però si chiama davvero Isola del Vento) con il fidanzato Nick, ma scopriamo subito che le cose tra loro non vanno più molto bene. A parte il fatto che lei ha passato il 90% del suo tempo libero a sbavare copiosamente dietro a Neven, Nick passa molto tempo lontano da lei, accampando scuse talmente assurde (il caro buon vecchio "devo lavorare tanto") che lei pensa che abbia un'amante. Il tuo fidanzato non ti dà più attenzioni? Non è mica "colpa" (tra tantissime virgolette, ovviamente se smetti di essere innamorato di qualcuno non bisogna colpevolizzarsi, su ci siamo capiti) tua che hai iniziato a provare sentimenti per qualcun altro! È lui che ti cornifica! Scherzi a parte, con Nick sempre più assente, lo spettro di un possibile tradimento che aleggia sulle loro teste e gli ormoni a palla, Vivienne e Neven iniziano ad avvicinarsi sempre di più, ma nel modo più sbagliato di sempre. Entrambi hanno delle personalità più sottili della carta velina, lui se la cava un po' meglio, ma lei è il nulla cosmico, davvero. Leggendo questo libro ho quasi rimpianto "Fabbricante di Lacrime", il che è tutto dire. Per dire, a una certa, non ho capito come, lei arriva a posare una mano sulla gamba di lui ma la cordicella di un braccialetto le si incastra nell'asse della panca su cui è seduta e lei per provare a sfilarlo gli sfiora il pacco nei pantaloni, facendogli venire un'erezione. Sipario.



Manco a dirlo le scene di sesso sono delle cose imbarazzanti, fatti di mugugni, "mutandine bagnate", e raggiungimento del "culmine del piacere" (la parola orgasmo a quanto pare fa schifo), quindi non mi soffermo nemmeno su come sono scritte (e ce ne sono davvero tante) per non distoglierci dai veri piaceri di questa trama.

Per farla in breve, a una certa salta su, totalmente a caso, che Neven è straricco e che i suoi genitori sono i proprietari del resort in cui lui fa l'animatore e schifa i soldi dei genitori, perché chiaramente essere ricchi è il peggiore dei difetti e tutti quelli che hanno i soldi sono degli snob che passano ogni fine settimana nei locali più esclusivi a ubriacarsi e imbastire i peggio crimini coi peggiori criminali dei bassifondi, mentre il resto della settimana partecipano a cene di lusso in ristoranti che ti servono pesce fresco e champagne pregiato, il tutto impreziosito da posate d'argento, musica dal vivo e un candeliere di cristallo che pende dal soffitto.

Non funziona così?

No, cara Mary, non funziona così, almeno non per tutti. Una persona può essere ricca e restare umile anche senza rinunciare alla sua ricchezza. E la cosa fastidiosa è che per buona parte del libro non viene mai fatto cenno della ricchezza di Neven, ma nel momento in cui l'argomento ciccia fuori diventa la sua intera personalità, passa il tempo a filosofare sul fatto che è ricco ma le sue idee sono distanti da quelle della sua famiglia

L'ultimo 25% del libro circa è una delle cose più confuse che io abbia mai letto in vita mia. In tempo zero questi scoprono: che Neven è invischiato in affari malavitosi (di che tipo, non l'ho capito), che Nick aveva un fratello gemello, Cameron, che era un po' il suo fratello cattivo che si era finto lui per tutto il tempo, lì sull'isola ventosa (e il premio mongolino d'oro va a Vivienne che è restata per tutto il tempo con uno senza manco rendersi conto che non era il suo ragazzo, okay che son gemelli ma almeno le personalità, qualche tic del corpo, un neo, un atteggiamento, qualsiasi cosa avrebbero dovuto farti capire che qualcosa che non funzionava, a maggior ragione perché questi due sono cresciuti separati per tutta la loro vita), loro due partono, arrivano a New York, scoprono... roba, tornano indietro risolvono la questione, qualsiasi essa fosse (vi giuro mi sono sforzata di stare dietro ai ragionamenti ma non ce l'ho fatta), lui compra a lei un biglietto di sola andata per New York perché lei doveva scrivere il libro sulla loro storia e diventare la scrittrice affermata che si meritava di essere. Perché non potevano farlo insieme? Per il potere potentissimo della ✨supercazzola✨, ovviamente.

Per oggi mi taccio, miei piccoli angeli. Spero di causare abbastanza indignazione nelle masse da creare un dialogo civile. Noi ci becchiamo il mese prossimo con tante mirabolanti avventure made in Marty: il prossimo libro trash con ogni probabilità sarà "Beyond the surface. Il fascino del proibito" di Claire Dee (non voglio assolutamente partire prevenuta però ho tante aspettative a riguardo). Cià cià.

La via dei re verso la depressione.

  Che parto. Che. Parto. Questo è stato indubbiamente uno dei libri più pesanti e complessi (dal punto di vista strutturale più che stilisti...

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